Le vacanze al tempo del Coronavirus, la storia di Sara

Mare o monti poco importa, le regole anti contagio saranno stringenti per tutti e questa sarà un’estate dalle tinte anomale. Saprà l’industria turistica ripartire coniugando ospitalità e sicurezza contro il rischio Covid? La sfida è complessa, soprattutto per le strutture più piccole: val la pena sborsare cifre importanti per mettersi in regola consci che i propri alberghi potrebbero restare vuoti? La testimonianza della carpigiana Sara Rovatti che dal 2017 gestisce l’Hotel Serafini a Rimini.

0
3043
Sara Rovatti

Mare o montagna? Quest’anno la scelta che, puntualmente, col sopraggiungere del tepore primaverile, scuote gli equilibri di ogni famiglia è resa ancor più complicata dall’emergenza coronavirus. Qualcuno ha già deciso di restarsene a casa e rimandare le vacanze a tempi più lieti mentre altri non vogliono rinunciarvi soprattutto dopo i mesi di “cattività” trascorsi tra le mura domestiche. Mare o monti comunque poco importa, le regole anti contagio saranno stringenti per tutti e questa sarà un’estate dalle tinte decisamente anomale come sottolinea Marzio Govoni, presidente di Federconsumatori Modena: “si annunciano vacanze più sobrie, più vicine a casa, con una preferenza per i luoghi meno affollati. Potrebbe in questo senso essere favorita la montagna, compreso il nostro Appennino. Al momento si registrano preoccupazione, il desiderio diffuso di non uscire dall’Italia e la paura di una recrudescenza che potrebbe rendere impossibili le partenze. C’è un forte bisogno di assistenza, di garanzie, prima, durante e dopo la vacanza, se si dovessero riscontrare problemi”.

Tra i modenesi sono già tanti coloro che si stanno affrettando a prenotare case o appartamenti sull’Appennino, spesso da giugno a settembre. L’idea, infatti, è quella di avere una casa vacanza a pochi chilometri dalla città dove recarsi nel weekend per dedicarsi a una passeggiata nei boschi o a un picnic all’aria aperta in sicurezza. Ma se la vita dei vacanzieri, soprattutto quella degli amanti di sabbia e mare, sarà all’insegna di qualche compromesso, i veri sacrifici sono però quelli compiuti da albergatori e titolari degli stabilimenti balneari: alle prese con regole e obblighi rigidissimi che presuppongono investimenti importanti per assicurare il necessario distanziamento e la sanificazione richiesti, non per tutti sostenibili.

Il distanziamento di almeno un metro va garantito in tutte le fasi, dal check-in al check-out, prevedendo anche modalità di prenotazione e pagamento online, l’invio telematico delle informazioni necessarie per la registrazione prima dell’arrivo, l’indicazione in caso di registrazioni plurime di un capo-gruppo che tiene i contatti con la reception e, dove possibile, l’attivazione di  sistemi di virtual concierge, l’installazione di eventuali modalità di chiusura come la “reception glass”. Il tutto sempre per evitare code e assembramenti di ogni tipo, con la raccomandazione, quando sia difficile mantenere la distanza, di dotarsi di mascherine, guanti e schermature. Distanziamento che vale, ovviamente, anche per il personale della reception (previste schermature laterali tra le persone) e per tutti i lavoratori della struttura.

La capienza degli ascensori negli alberghi dev’essere tale da consentire il rispetto della distanza interpersonale che può essere derogata in caso di persone che facciano parte dello stesso nucleo familiare o che condividano la camera. E il mantenimento della distanza deve accompagnare gli ospiti in ogni momento del soggiorno, dalla consumazione dei pasti alla pulizia delle stanze – con facoltà di chiedere che il personale addetto alle pulizie non faccia ingresso in camera.

Saprà l’industria turistica ripartire coniugando ospitalità e sicurezza contro il rischio Covid? La sfida è complessa, soprattutto per le strutture più piccole, a gestione famigliare: val la pena sborsare cifre tanto onerose per mettersi in regola consci che i propri alberghi potrebbero restare vuoti? “Gestisco un albergo dal 2017. Dentro – spiega la carpigiana Sara Rovatti, che gestisce l’Hotel Serafini a Rimini – ho sputato letteralmente sangue e sudore ma si vede non abbastanza per poter vivere di rendita. D’inverno, infatti, quando chiudo l’albergo, vado a lavorare come tutti i comuni mortali. I 600 euro per le partite iva non ho potuto richiederli perché esiste un contratto di lavoro dipendente ma non ho diritto alla cassa integrazione perché ho una partita iva. Il famoso cane che si morde la coda… L’albergo naturalmente ora è chiuso: prenotazioni zero. Per riaprirlo devo spendere dei soldi che non ho. Manutenzione ascensori, estintori, pulizie, tinteggio… per non parlare di sanificazione, scorta di mascherine e gel, schermo protettivo in reception, termo scanner per provare la febbre, sicurezza per i dipendenti perché se si ammalano è una mia responsabilità penale.

Come faccio senza prenotazioni e senza caparre? Non posso nemmeno richiedere il finanziamento del 25% dei redditi dell’anno precedente perché malgrado le promesse della politica, le banche fanno quel che vogliono. Non so se riaprirò, di certo se non arrivano prenotazioni ho le mani legate”.

Sara Rovatti però non si è persa d’animo e ha attivato una raccolta fondi per consentire al suo sogno di proseguire (https://www.eppela.com/it/projects/28092-hotel-serafini-rimini-riparte-grazie-a-te). In bocca al lupo!

Jessica Bianchi

clicca e unisciti al nostro canale whatsapp
clicca e unisciti al nostro canale whatsapp
clicca e unisciti al nostro canale whatsapp