Chi scrive non è cattolico. Chi scrive, dal cattolicesimo ha avuto, come tanti, un’educazione declinata in una sua strana versione tutta emiliana. Chi scrive vuole essere sincero e ammettere di non essere un particolare fan di Papa Benedetto XVI. Come successore al Soglio di Pietro, l’allora arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini gli sarebbe parsa, per intenderci, una scelta più felice. Chi scrive, alle certezze del Catechismo preferisce le riflessioni più incerte e i più laceranti interrogativi di Ivan Karamazov; ai libri di Antonio Socci le riflessioni sull’anima di Vito Mancuso; alla diplomazia di Bertone l’impegno di Don Luigi Ciotti. Chi scrive, però, non può non invitare tutti – a partire da se stesso – a uno sforzo di riflessione, a una fatica di onestà intellettuale. C’è chi, in questi giorni, è andato ripetendo che meglio avrebbe fatto il pontefice a restarsene a Roma. Ma noi, che martedì mattina a Rovereto c’eravamo, abbiamo visto centinaia di persone – tra cui tanti terremotati della frazione e delle zone vicine – accogliere con canti, applausi, con il sorriso sulle labbra e un anelito di speranza nello sguardo l’arrivo del Papa. Inoltre, una frazione e un territorio che iniziavano a sospettare di essere ormai relegati nel dimenticatoio hanno potuto, grazie a questa visita, avere su di sé la volubile attenzione dei media nazionali e internazionali. Per questi due motivi dobbiamo tutti sforzarci di capire come, al di là dei nostri giudizi e, spesso, pregiudizi, la visita di Benedetto XVI sia stata benvenuta. Se non altro perché a tanti ha saputo portare un briciolo di speranza in più, in un momento in cui la speranza vale più dell’oro. Chi scrive non vuole dimenticare che essere emiliani significa anche saper godere della felicità di chi ci sta intorno. Anche quando si tratta di gioie differenti da quelle che soddisfano noi stessi.
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