La grande sala circolare è piena di giovani donne. Cantano in coro un inno alla vita, alla positività, al giorno che inizia nel migliore dei modi. All’azienda. Il tutto condito con sorrisi, energia, carica positiva. Sembrerebbe il luogo di lavoro ideale, saturo di allegria e rapporti d’amicizia. Se non fosse che le ragazze che intonano il loro peana all’ottimismo sono le operatrici del call center dell’amara commedia di Paolo Virzì Tutta la vita davanti, condannate a un lavoro precario, mal pagato e, spesso, umiliante. Questa scena è frutto della fantasia visionaria e della carica satirica del regista, o sul posto di lavoro si eseguono veramente questi rituali? A voler giudicare dal fiorire delle scuole di galateo e business etiquette destinate a manager, segretarie e impiegati, o dagli insegnamenti di bon ton introdotti nei piani di studio delle più prestigiose facoltà di Economia, Management e Business, pare proprio che buone maniere, cordialità e correttezza siano entrate a far parte a pieno titolo degli elementi indispensabili per gestire al meglio l’ambiente lavorativo. Questa è anche la tesi di Gabriella Turnaturi, che giovedì 5 maggio alle 21 sarà ospite al terzo degli incontri della rassegna Le parole del lavoro presso l’Auditorium della Biblioteca Loria. Autrice del saggio Signore e signori d’Italia. Una storia delle buone maniere, già ospite al Festival Filosofia, la sociologa dell’Università di Bologna analizza, attraverso lo studio attento dei galatei italiani dall’unità ad oggi – esaminando prescrizioni, raccomandazioni e tassativi divieti – come sia cambiata la socialità nel nostro Paese.
Se, attraverso le indicazioni dei manuali di buone maniere è possibile intravvedere quale sarebbe il “gentiluomo ideale” e quali i modi di conoscersi e ri-conosersi degli italiani, è proprio dall’ultimo capitolo del testo, Buone maniere per buone carriere, che si intuisce come si stiano rimodellando i rapporti all’interno uffici, fabbriche, negozi. “Chi vuole fare carriera deve utilizzare le buone maniere” sostiene perentorio uno dei galatei presi in esame”. E’ provato che le maniere educate, la galanteria misurata, il garbo verso i colleghi e i clienti hanno una grande redditività economica” annuncia un altro maestro di buone maniere. Ma cosa emerge dietro a questa nuova attenzione all’etichetta? Secondo l’autrice “il vero paradiso è lì, al lavoro, è fare affari. Mentre l’inferno è fuori, nel tempo libero, nel tempo del riposo e delle relazioni gratuite”. Attraverso la proposta di un nuovo modello di lavoratore, instancabile e molto cortese, si tenta in qualche modo di coprire l’angoscia e l’insicurezza scatenate da una delle più gravi crisi economiche che il nostro paese abbia mai attraversato, crisi che tende ad erodere – ancor più di quanto già non lo siano in molte realtà – i diritti dei lavoratori. Come contenere dunque rabbia e disperazione di dipendenti sottopagati o, peggio, licenziati? “Forse tranquillizzandoli con le dolci buone maniere, insegnando a sorridere e ad accettare di essere messi sullo scivolo o di essere accompagnati verso l’uscita dal lavoro. Ugualmente chi esercita il potere deve imparare a esercitarlo con grazia e gentilezza, facendo così apparire ogni decisione come inevitabile e al tempo stesso elegante”. Questo insistere sulle buone maniere dunque “fa pensare che siano proprio l’aggressività, la maleducazione e le pratiche di mobbing a farla da padrone”. Ma non è tutto: le buone maniere divengono uno strumento di comunicazione seduttiva. “Nell’epoca in cui tutti sono impegnati a manipolare e sedurre, anche le buone maniere vengono messe al servizio non di signore e signori, ma di seduttrici e seduttori”. Uno scenario per molti versi inquietante, almeno secondo l’analisi della sociologa. In una comunità che voglia realmente fare della tutela e del benessere delle sue componenti produttive uno dei suoi punti di forza principali, prima e a monte di ogni etichetta e cortesia – o insieme ad esse – dovrebbero esserci la tutela dei diritti e delle garanzie fondamentali.