La solitudine del carcere

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Non occorre che tu esca di casa. Resta al tuo tavolo e ascolta. 
(F. Kafka)

C’è stato un tempo in cui la solitudine, o meglio, momenti di solitudine le erano indispensabili, per “ricaricare le pile” dai tanti impegni quotidiani e dal lavoro. Un lavoro che le piaceva moltissimo. Così, cercava di crearseli questi momenti di solitudine positiva. Bastava una breve passeggiata o entrare qualche istante in una chiesa vuota, sebbene non fosse mai stata particolarmente credente o praticante. Dai quei brevi attimi ne usciva ritemprata, più serena e pronta a rimettersi in moto. Poi, in un istante, un tragico e infamante evento l’ha catapultata in un luogo brulicante e stagnante di persone, stracolmo di rumori ma tristemente intriso di una strana solitudine che le era sconosciuta, quella della “non appartenenza”. La solitudine di chi non crede, di chi non si aspetta più nulla dalla vita e dalle persone, se non da quelle pochissime da lei amate: “La solitudine del carcere”. Dopo parecchi mesi, si è accorta che in quel luogo, dove anche i muri trasudano tristezza, era riuscita a sorridere, ridere e, paradossalmente, a volte, pure a divertirsi… anche in carcere aveva scoperto che da alcune persone riusciva a ricevere conforto e forse riusciva a ricambiare a sua volta quei sentimenti e quei gesti. In quei momenti, la solitudine si faceva sempre meno pesante.

Lei, quando era ancora una persona libera, era circondata da un sacco di amici, sempre presa da mille feste e dagli impegni che la vita quotidiana le riservava… poi, gli sbagli, commessi con le sue stesse mani, l’hanno portata a varcare il portone del carcere. Tutti gli amici sono spariti, svaniti nel nulla, come se un mago li avesse fatti sparire con la sua bacchetta magica.
All’inizio, ha sofferto per questo “vuoto” che si era creato intorno a lei. Non è facile accettare di aver passato gli anni più belli con persone che le stavano accanto esclusivamente per interesse. Questo vuoto, però, le ha fatto riscoprire il valore di avere una famiglia solida; una famiglia che, pur non essendo orgogliosa di quello che lei ha fatto, non la giudica e le è sempre accanto. Non la molla un attimo.
Qui, le capita ogni tanto di voler stare da sola, di cercare un po’ di tranquillità ma è difficile perché qui, ogni tanto, può accadere che si faccia “molto rumore per nulla”.
Riflettendo, lei pensa che quella solitudine provata all’inizio della sua carcerazione, le abbia fatto provare un po’ di sofferenza ma che le abbia anche fatto capire la vera essenza della vita: la sua famiglia.

La solitudine tra le sbarre: l’accompagna ogni giorno, ogni momento, in ogni occasione. Vive in compagnia della solitudine, per la mancanza della sua famiglia, della sua libertà, dei suoi figli. Per lei la solitudine è un dolore costante, incurabile ma non è dovuta solo alle sbarre. L’accompagna da anni. Ha convissuto con un ragazzo dall’età di sedici anni e ha avuto tre splendidi bambini ma, in tutto ciò la sua unica compagnia era la solitudine, anche oggi che ne ha ventitrè. E, come tutti sanno, ogni storia ha una fine. La solitudine si può combattere, ma tra le sbarre la parola fine non la si dice perché in carcere è facile entrare ma non si può sapere quando si uscirà. Di conseguenza, questo è uno dei tanti luoghi dove la solitudine è “di casa” e si presenta in tanti modi. Non è facile combatterla, è più facile per lei conviverci fino a quando troverà un motivo per essere felice.

Nella vita è facile giudicare qualcuno senza aver provato sulla pelle il suo dolore. Quel dolore spesso lacerante che fa capire cosa vuol dire essere soli, senza avere al proprio fianco le persone a cui si vuole bene. Spesso si ritrova a pensare. Il suo pensiero va lontano … raggiunge mete purtroppo irraggiungibili ma che vorrebbe tanto raggiungere. A volte, vorrebbe sentirsi stretta tra le braccia di qualcuno, quel qualcuno che tuttora cerca nella sua vita, nei suoi sogni, nei suoi movimenti… Tutte queste cose l’aiutano a rialzarsi quando tocca il fondo, perché nulla ha il diritto di togliere la voglia di vivere.

Il gruppo di lavoro della sezione femminile della Casa Circondariale S. Anna di Modena (dal progetto di laboratorio espressivo d’Arte e di
Danzamovimentoterapia proposto e realizzato da
ArServizi di Carpi e
promosso dall’associazione Gruppo Carcere-Città
di Modena)

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