Tanzania: la nostra terra di missione

0
521

“Le attività che svolgiamo, le facciamo non per loro, ma con loro”. E’ con questo spirito che i coniugi carpigiani Liviana e Luciano Ferrari, dall’inizio degli Anni Novanta svolgono attività di volontariato presso la Parrocchia di San Giuseppe Artigiano e sono partiti per una missione diocesana in Tanzania. “Nel 1990- ha raccontato Liviana- io e altri volontari abbiamo dato vita al gruppo parrocchiale L’isola che non c’è: un progetto che coinvolge 20 ragazzi disabili provenienti da tutta la città, e un uguale numero di animatori, finalizzato allo svolgimento di attività di socializzazione per ragazzi portatori di deficit di varia natura. Ogni anno, noi animatori seguiamo un progetto educativo ben strutturato, realizzato attraverso la collaborazione di tutto il gruppo, e che costituisce il filo conduttore di tutte le attività che vanno dalle recite, alle gite, dai mercatini alla catechesi e altro ancora. Attività completate da un campo estivo durante il quale si crea un’ambientazione e vengono ideate attività manuali e creative che coinvolgono direttamente tutti i membri del gruppo. Ogni ragazzo nelle attività è affiancato da un animatore con il quale stabilisce un rapporto alla pari, e così facendo l’arricchimento personale, da entrambe le parti, è davvero grande. Quest’anno ci è stato chiesto di partire per una missione in Africa, e così, io, mio marito e mia sorella Claudia abbiamo deciso di aggregarci a un gruppo della diocesi di Bologna guidato da Don Paolo, e diretto alla missione di Usokami in Tanzania, per il progetto di cooperazione tra la diocesi di Bologna e la diocesi di Iringa. Gli abitanti del villaggio di Usokami vivono senza acqua potabile, senza luce e senza strade asfaltate. Le abitazioni sono capanne solitamente di 4 metri per 4 al cui interno non vi è alcun genere di mobilio, ma solo stuoie sopra le quali coricarsi alla sera, e nel periodo delle piogge. Negli altri mesi dell’anno, vivono perennemente in strada, cucinando su alcune pietre pietanze ricche di carboidrati, come polenta e riso, ma povere di sostanze nutritive, e infatti uno dei principali problemi da cui sono afflitti è la malnutrizione che colpisce prevalentemente le donne e i bambini. Il 59% della popolazione della Tanzania mangia solo una volta al dì, e vive con meno di uno scellino al giorno. Le loro occupazioni sono fondamentalmente rurali: coltivano i campi, e poi ci sono alcuni fortunati che hanno anche piccoli allevamenti di galline, conigli, capre e mucche. Nonostante le loro condizioni di vita, gli abitanti di Usokami sono sempre allegri e pronti ad offrirti quel poco che hanno, come i bambini che, mentre le madri lavorano i campi, trascorrono le loro giornate seduti sul terriccio accanto agli orti, succhiando una canna da zucchero, per poi porgertela con gran sorrisi al tuo passaggio. Luciano è stato il tuttofare della missione. Si è infatti adoperato da idraulico, elettricista, falegname e meccanico. Invece, io, mia sorella e le altre 7 persone che hanno partecipato al progetto, abbiamo pulito e tinteggiato le camere dei bambini dell’orfanotrofio. Lo scopo primario della missione non è evangelizzare, ma lavorare concretamente insieme a queste persone, per realizzare strutture e servizi, e insegnare loro un mestiere. In effetti, il risultato più positivo della missione è stato quello di aver reso completamente autosufficiente la popolazione del villaggio. Nonostante la Tanzania sia una Repubblica, in realtà trovo che ci sia ben poca democrazia da quelle parti, in quanto al di fuori dei grandi centri abitati come Dar Es Saalam e Dodoma, la gente è abbandonata a sé stessa, senza assistenza da parte del governo. Nella missione del piccolo villaggio dove siamo stati noi, l’ospedale, la scuola, l’orfanotrofio e le altre strutture pubbliche sono state create dai volontari, così come i meccanismi di approvvigionamento dell’acqua e della corrente elettrica. Nonostante queste carenze da parte dello Stato, i tanzaniani non si lamentano mai, bensì cantano. In effetti, io e mio marito siamo molto contenti di aver fatto questa esperienza con persone così piene di gioia di vivere, e con una grande dignità”.Un proverbio africano dice: “se tu sei lontano il tuo bestiame muore, non perchè non abbia la possibilità di mangiare, ma perchè soffre della tua mancanza”. Da lontano si può fare qualcosa, ma andare sul posto, come hanno fatto, tra i tanti, anche Liviana e Luciano è l’unico modo per vivere davvero l’Africa.
Chiara Sorrentino