C’è ancora a Madrid, in una sala della Biblioteca Nacional, il foglio n°43 dei Caprichos – capricci – la serie di acqueforti che Francisco Goya realizzò nel 1797, a 33 anni. Il sonno della ragione genera mostri, questo il titolo dell’incisione che ritrae un uomo addormentato, la testa china su un tavolino sul quale sono posati alcuni fogli mentre, intorno a lui, prendono forma le creature della notte: felini, gufi, pipistrelli. L’opera, allegorica come molte altre lasciateci dall’autore delle due Mayas, possiede ancor oggi come una inquietante aura premonitrice dell’indicibile orrore che, nella prima metà del Novecento, si sarebbe scatenato nei Campi di mezza Europa. E che la visone che condusse allo sterminio di almeno 6 milioni di esseri umani di origine ebraica – oltre, è bene ricordarlo, di omosessuali, disabili e zingari – al di là di ogni dubbio la più nefasta ideologia che l’essere umano abbia mai concepito, nacque proprio in Germania, una delle culle del più alto pensiero Occidentale – da Goethe a Hegel, da Bach a Heine, da Kant a Schiller – lascia spazio alla terribile riflessione sul fatto che anche la civiltà più evoluta, se non si vigila attentamente, più dar luogo a incubi spaventosi. Di più, tanto più spaventosi quanto più ‘evoluta’ la cultura in questione. Perché, va ricordato, sarebbe stato impossibile, in piena guerra, progettare e realizzare un genocidio di dimensioni così vaste senza un’accurata pianificazione, piani meticolosi, ordine e disciplina ferree. Non già l’opera di un gruppo di folli psicopatici – di mostri – ma al contrario di tecnici, grigi burocrati che pensavano soltanto ad eseguire nel modo migliore possibile i propri compiti. Individui che probabilmente sapevano tutto, salvo aver dimenticato la cosa più importante: la propria coscienza. La banalità del male, appunto. Mercoledì 25 gennaio, dalla Stazione di Carpi partirà, ancora una volta, il treno che porterà tanti ragazzi delle scuole superiori della Provincia di Modena a ripercorrere lo stesso tragitto che, 60 anni prima, compirono i deportati del Campo di concentramento di Fossoli. Ma oggi, grazie a una delle più meritorie iniziative che il nostro territorio può offrire all’intero Paese, questo si trasforma da viaggio di morte in itinerario della memoria. E, anche se la motrice punta sempre verso nord, la direzione è invertita: dall’oblio al ricordo, dall’orrore di un male che stenta a trovare spiegazioni alla speranza che ciò che è stato non abbia ad accadere mai più. Con l’augurio che ognuno di quei tanti ragazzi che negli anni salgono sul Treno possano divenire, al ritorno, guardiani degli irrinunciabili valori che sono sì patrimonio condiviso, ma la cui tutela è compito che spetta a tutti noi. Per meditare che questo è stato, come ci ricordano in ogni istante le parole di Primo Levi. Scolpendolo nel nostro cuore. Stando in casa andando per via. Coricandoci. Alzandoci.
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