Dopo sette mesi di attesa, il 6 dicembre, è stata finalmente approvata l’ordinanza 86, la quale stabilisce i criteri e le modalità di assegnazione di contributi per la riparazione, il ripristino con miglioramento sismico o la demolizione e ricostruzione di edifici e unità immobiliari a uso abitativo che hanno subito danni gravi dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio. Numerose le zone d’ombra legate al provvedimento tutt’altro che risolutivo. A Fabio Ghelfi, ingegnere strutturista dello Studio Archimede di Carpi, chiediamo:
Sisma e ricostruzione: quali sono le problematiche che voi professionisti state incontrando?
“I tempi stretti e le ordinanze in continua evoluzione che non chiariscono tutti i punti: per esempio, per la fine di marzo dovranno essere inviati – via informatica – i progetti dei fabbricati residenziali con inagibilità tipo B, C ed E0. Il problema è che il termine effettivo sarà febbraio in quanto con l’ultima ordinanza, l’86 del 6 dicembre, è stato richiesto anche il confronto tra due imprese con la conseguente scelta di una delle due. La gara d’appalto, che ritengo sacrosanta per il cliente, porta comunque a un allungamento dei tempi di realizzazione della pratica da eseguire per ogni fabbricato”.
Avete referenti e tecnici all’interno delle istituzioni che offrono risposte chiare o anche voi rilevate una diffusa ignoranza circa i contenuti delle varie ordinanze?
“Purtroppo la risposta è negativa, ma direi più che per ignoranza, per mancanza di completezza e stabilità delle ordinanze. Mi auguro quindi che il lavoro dei Comuni e degli altri organi competenti in fase di istruttoria sia guidato dal buon senso”.
Dopo sette mesi è stata approvata l’ordinanza per gli immobili inagibili con esito E, la numero 86 del 6 dicembre. Numerose le zone d’ombra legate al provvedimento. Partiamo dalla classificazione del danno. Dopo un’iniziale suddivisione in E leggere ed E pesanti, ora l’ordinanza stabilisce diversi stati di danno e differenti valori di vulnerabilità. Si rischia di annullare progetti già fatti e dover ricominciare tutto daccapo?
“No, in quanto fondamentalmente già l’ordinanza 51 dettava i criteri per la classificazione del livello operativo, inteso come livello di contributo economico e di obiettivo di sicurezza da raggiungere per l’edificio danneggiato, l’86 ha solo completato la griglia delle molteplici situazioni per i fabbricati che hanno subito i maggiori danni. Ripeto il criterio da seguire non è mutato va fatta una valutazione sul fabbricato del danno (quello che è successo a causa del sisma) e della vulnerabilità (le carenze intrinseche all’edificio indipendenti dal danno subito)”.
Nell’ordinanza 86 si legge “nel caso di interventi iniziati prima dell’entrata in vigore delle varie ordinanze le spese sostenute dal richiedente antecedentemente all’inoltro al Comune della domanda, possono essere ammesse a contributo, purchè…” soddisfino determinati diktat stabiliti dal commissario Errani.
Ordinanza dopo ordinanza, rettifica dopo rettifica, la Regione invece di snellire e semplificare sta rendendo la vita di tutti impossibile, rimescolando continuamente le carte in tavola. Il rischio è che la gente (dopo aver atteso mesi e speso soldi – tanti – di tasca propria per rientrare in casa) non riesca poi ad accedere a questi fantomatici contributi statali per un cavillo tecnico. E’ un rischio reale a suo parere?
“No, i proprietari che hanno avuto fabbricati con danni evidenti non dovrebbero temere di non ricevere un contributo alla ricostruzione. Anche il cliente con pratiche iniziate prima della stesura delle ultime ordinanze dovrebbe riceverlo in funzione del danno avuto. Il dubbio che resta invece è relativo a coloro che non hanno eseguito le notifiche preliminari tramite il sistema informativo (progetto SICO), anche in questo caso confido nel buon senso di chi farà l’istruttoria. La notifica preliminare è semplicemente una comunicazione all’Ausl relativa all’inizio dei lavori e ai soggetti presenti in cantiere. Ora viene richiesto di farla ogni volta che si modificano i dati del cantiere”.
I punti 10 e 11 – relativi a edifici formati da una o più unità immobiliari – dell’ordinanza sono particolarmente nebulosi. Si legge: “qualora per lo stesso edificio, siano state emesse più ordinanze di inagibilità con esiti di classificazione diversi, il tecnico incaricato del progetto verifica l’effettivo danneggiamento dell’edificio nel suo complesso e propone al Comune il riesame degli esiti delle ordinanze, al fine di pervenire a un’unica classificazione. Il Comune, previa valutazione dell’Ufficio Tecnico, eventualmente supportato da tecnici esperti che operano sotto il diretto coordinamento della Struttura tecnica commissariale, emette una nuova ordinanza che attribuisce all’edificio la nuova e unica classificazione”. Facciamo l’esempio di cittadini che vivono in palazzine a sè stanti, oggi inagibili, collegate tra loro da una pensilina in cemento armato. Palazzine che, pur avendo due mappali catastali diversi, hanno lo stesso nome, lo stesso codice fiscale e una sola scheda Aedes la quale stabiliva che l’edificio nel suo complesso aveva riportato un danno classificato E grave. Ora, dopo l’ordinanza 86, l’edificio deve essere riclassificato: poichè una palazzina ha un danno B e l’altra un danno E. Il progetto di ripristino è quindi tutto da rifare. Tempo e denari gettati al vento. Non solo: Comune e Regione non danno risposte chiare su come operare.
Perchè tutte queste falle nel sistema? Perchè le ordinanze non tengono conto degli eventuali scenari possibili? Come si procede in questi casi?
“L’ordinanza 86 in effetti, al comma 10, ribadisce la definizione di unità strutturale riportata anche nella Normativa Tecnica per le Costruzioni (NTC) del 2008 e, nel comma 11, individua l’iter di confronto con il Comune che si dovrebbe compiere, per la definitiva classificazione del livello operativo, nel caso in cui siano presenti almeno due schede Aedes. Questo iter di confronto potrebbe far passare altro tempo prezioso per la determinazione del punto di partenza. Occorre quindi il solito buon senso e una certa assunzione di responsabilità. Consiglio di organizzare un confronto informale con la struttura tecnica del Comune che ritengo non fornirà una soluzione, ma avrà, comunque, nel momento dell’istruttoria già inquadrato la problematica. E’ vero: Comune e Regione impiegano parecchio tempo per dare risposte che apparentemente sembrano semplici. Per esempio è stato chiesto alla Regione, tramite una lista di opere, quali fossero di finitura e quali strutturali. Esemplifico: le pareti divisorie delle stanze interne all’appartamento, fanno parte delle strutture o sono una finitura? Bene dopo 11 giorni la Regione ha risposto che se non fanno parte della struttura portante dell’edificio queste sono da considerarsi finiture. Solo su tale definizione, si potrebbe aprire un dibattito…”.
L’ordinanza stabilisce che per lavori di importo superiore a 500mila euro l’impresa o il consorzio di imprese, ovvero l’ATI, devono essere in possesso di una qualificazione rilasciata da Società di attestazione (SOA). Cosa significa? Non è una limitazione che, come spesso accade, privilegia i grandi gruppi a scapito dei piccoli, comportando un accentramento che dilata i tempi legati alla ricostruzione?
“Rispondo con un esempio. Questa settimana è passato in ufficio un artigiano, un muratore, per verificare lo stato di alcuni pilastri di un fabbricato con 10 unità abitative avente una classificazione di inagibilità totale (lettera E). Mi ha chiesto di partecipare all’appalto globale dei lavori. Gli ho risposto che doveva avere la certificazione richiesta per i lavori pubblici, la certificazione SOA. La risposta è stata pronta: lavoro insieme ad altri che possiedono tali requisiti. Penso che il normatore abbia imposto limiti per evitare l’improvvisazione di alcuni a scapito del risultato finale, a tutela di sprovveduti clienti, ma favorendo così certe imprese più strutturate. Comunque per lavori di importo economico fino a 150mila euro non serve tale certificazione”.
In che cosa consiste il Modello Unico Digitale per l’Edilizia? Molti lamentano il fatto che non sia pienamente efficiente? Quali le lacune?
“Il MUDE, letteralmente Modello Unico Digitale per l’Edilizia – aggiunge Giuliana Stermieri, ingegnere edile dello Studio Archimede – è una piattaforma sviluppata dalla Regione Piemonte che l’ha messa a disposizione dell’Emilia al fine di inoltrare le Richieste di Contributo per la Ricostruzione. La compilazione richiede la raccolta di molte informazioni riguardo alle singole unità immobiliari poichè servono per calcolare il costo convenzionale al metro quadrato, al fine di stabilire l’entità del contributo nonchè il diritto a percepirlo su quella precisa unità immobiliare. Come tutte le novità, anche l’inoltro delle pratiche per via telematica necessita di un certo lasso di tempo per entrare in funzione ed essere pienamente efficiente e, in un momento come quello post sisma, questo non ha fatto altro che ritardare l’invio delle richieste di rimborso. D’altra parte, però, tale modalità rappresenterà il futuro nel nostro settore e costituisce già il presente per le pratiche che riguardano le attività produttive. Occorre quindi l’impegno di tutti (tecnici privati e pubbliche amministrazioni) per implementare e migliorare questi sistemi”.
Non ci resta che piangere? No, non ci resta che
confidare in un buon senso che, onestamente, sino ad ora non è certo stato il grande protagonista nelle azioni del nostro commissario per la ricostruzione, Vasco Errani. E intanto i tempi continuano ad allungarsi e per molti, questo, sarà un Natale fuori casa. Un Natale di rabbia e sgomento.
Jessica Bianchi