“Qui la gente è più spaventata che all’Aquila”

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E’ il Gruppo lucano della Protezione Civile che gestisce il campo tende allestito nel Piazzale delle Piscine di Carpi. Ad accoglierci all’ingresso è il capo campo, Arduino Agostinelli. Un uomo pratico, schietto a cui le polemiche politiche interessano poco. “Mi sono iscritto nelle file della Protezione Civile nel 2008 e, da allora, ho prestato la mia opera in occasione del terremoto dell’Aquila nell’aprile 2009 e, lo scorso anno, in seguito all’alluvione del metapontino, catastrofe cui i media dettero poca risonanza poichè non vi furono morti ma che mise in ginocchio l’economia e le case di quel territorio”
Agostinelli, quanti volontari gestiscono il campo?
“Ci sono 40 volontari di Protezione Civile della Basilicata che hanno la completa gestione del campo e altrettanti della Croce Rossa. La Cri si occupa soltanto della cucina, preparando circa 4mila pasti al giorno, per gli ospiti e da asporto verso altre strutture”.
Quanti sono, ad oggi, gli ospiti?
“Al momento sono 398, ma il numero cresce di giorno in giorno”.
Il campo sorge su una spianata di cemento, una posizione alquanto infelice considerate le elevate temperature cui andiamo incontro. Chi ha scelto questa locazione?
“Noi siamo arrivati lunedì 4 giugno e abbiamo trovato le tende già montate con tanto di impianto elettrico interno e lettini allestiti… non so se a scegliere questo piazzale sia stato il Dipartimento di Protezione Civile o il Comune. A noi hanno semplicemente detto che avremmo dovuto operare qui, ed eccoci qua”.
Qual è la percentuale di stranieri e quella di italiani?
“Il 90 per cento degli ospiti è costituto da stranieri”.
Registrate problemi di convivenza?
“I problemi di convivenza non si registrano solo tra italiani e stranieri, bensì tra le varie etnie presenti: qui, infatti, ci sono tutti i continenti. Problematiche sociali che esistevano già e che qui dentro non fanno altro che acuirsi maggiormente. In una situazione di emergenza e di convivenza forzata sotto una tenda con otto posti letto, l’insofferenza e le differenze non possono che aumentare.
Una delle richieste più frequenti infatti, è quella di cambiare tenda, operazione alquanto complicata. Altri disagi sono legati alla cucina: molti musulmani infatti oltre a non mangiare carne di maiale, chiedono carne macellata secondo i loro usi e le loro tradizione, per non parlare poi dell’inizio del mese di Ramadan… persino i servizi igienici vengono utilizzati in modo diverso”.
Altri fattori di criticità?
“Qui al campo abbiamo oltre 100 bambini che non arrivato ai 14 anni, di cui 10 sono nati tra il 2011 e il 2012. Un piccolo nato il 1° maggio 2012 siamo riusciti ad allontanarlo, insieme alla madre, verso un albergo. Molte donne qui rifiutano l’idea di trasferirsi in albergo perchè non si vogliono separare dai mariti, ma l’effetto serra delle tende – i condizionatori sono arrivati solo oggi, 14 giugno – non costituisce certo la condizione ideale per un bimbo di pochi giorni o mesi. Le esigenze dei più piccini vengono prima di qualsiasi altra, per questo motivo ho scritto al al dirigente generale della Protezione Civile e al sindaco di Carpi, per sollecitarli nel “forzare” i genitori di altri sette piccoli a scegliere un’altra opportunità di locazione. Non posso pensare che altri sette bambini vivano ancora qui al campo”.
I carpigiani, dopo le scosse del 20 e del 29 maggio, si sono sentiti soli. Abbandonati a loro stessi. Perchè i soccorsi sono arrivati con tanto ritardo? Come si mette in moto la macchina della Protezione Civile?
“La Protezione Civile ha sostanzialmente tre livelli di competenza: comunale, regionale e nazionale. Il sindaco – in quanto capo della Protezione Civile a livello locale – può chiedere lo stato di emergenza solo per il suo comune ma è chiaro che un terremoto come quello che ha sconvolto l’Emilia è un’emergenza di carattere nazionale. Infatti, è su segnalazione di regioni e prefetture che il Dipartimento nazionale si attiva. Da come ci hanno spiegato, dopo prima scossa, quella del 20 maggio, la Regione Emilia Romagna non ha attivato la Protezione Civile nazionale pensando di poter gestire da sola l’emergenza. Poi, a seguito delle scosse del 29, a danni si sono aggiunti danni e alla paura altra paura ed è stato quindi evidente che le risorse regionali non sarebbero mai state sufficienti. Quando noi siamo arrivati a Carpi, il campo tende del Piazzale delle Piscine doveva essere transitorio. Inizialmente era stato progettato per dare alloggio agli sfollati solo per poche settimane, prima di essere trasferiti negli alberghi; oggi, al contrario è diventato stanziale e gli ospiti vi resteranno fino a settembre e chissà fino a quando ma un campo progettato per una cosa difficilmente può trasformarsi in altro… Meno male che il tempo sino ad oggi è stato clemente, altrimenti, senza condizionatori, non so cosa sarebbe potuto accadere… Il campo è fatto per ospitare fino a 640 persone ma, in base alla nostra esperienza, 500 è il numero limite. Oltre questo numero una tendopoli diventa ingestibile. Per tale motivo abbiamo già comunicato al Coc che al raggiungimento di questa quota non accetteremo nessun altro”.
Lei ha operato all’Aquila, quali differenze nota tra la città abruzzese e la nostra?
“I carpigiani sono più spaventati. Qui la sequenzialità delle scosse ha provato anche i più forti, ha compromesso la capacità di controllo delle persone che sono in stato di shock. Basta girare per le vie cittadine e notare quanti carpigiani pur avendo la casa in piedi e agibile, preferisca dormire in tenda nei parchi. Gli aquilani non avevano più casa, hanno avuto più vittime ma, paradossalmente, nutrivano meno terrore”.
All’Aquila la Protezione Civile Nazionale ha di fatto destituito la Giunta prendendo possesso della città e agendo in autonomia. E’ un rischio che intravede anche qui?
“Non lo so. Questi sono giudizi politici che non conosco e non mi appassionano. Io sono un volontario e questa, sinceramente, è l’ultima della mie preoccupazioni”.
Su quali fronti l’intervento di soccorso e gestione dell’emergenza potrebbe essere migliorato?
“Alcune competenze dovrebbero essere maggiormente centralizzate. All’Aquila abbiamo assistito a un eccesso di centralismo, qui a un eccesso di competenze: l’autorizzazione di spesa – con tutte le ristrettezze che il periodo impone – prima di ricevere il via libera deve passare su più scrivanie. Capisco la ristrettezza economica ma non la lungaggine burocratica: in un sistema di emergenza, le risposte non possono essere queste”.
Di cosa necessita il campo?
“Mi chiedo dove siano finiti gli operatori che hanno a che fare col mondo dell’infanzia e degli anziani. E dov’è chi cura lo spirito? I preti, gli imam… non possiamo contare nemmeno sui mediatori culturali. La gente vive in tenda ma non si devono spezzare le proprie abitudini. Spero che questo appello venga raccolto”.
Jessica Bianchi

In foto Arduino Agostinelli

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