Verso la finale: a un inferno dal Paradiso

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Con la vittoria di gara-1, il Carpi ha invertito lo svantaggio di partenza. Ha deciso un gol fulmineo di Kabine: il side-kick, un comprimario dimenticato. Accade spesso, nei giorni senza domani. Quando tutti aspettano i protagonisti, diventa protagonista quello che nessuno si aspetta. Ma il difficile viene adesso. L’ultima tappa non sarà banalmente una salita. Bensì una discesa. Nelle viscere del Salento.
PSICOLOGIA – Il Carpi ha adesso il privilegio di giocare per il pari. Ma non la convenienza.  Piuttosto deve scendere in campo con una lucida ossessione: segnare un gol. Come del resto ha sempre fatto durante questa gestione tecnica, 13 volte su 13. Non conta quando, può anche arrivare tardi. Conta semplicemente farlo, perché sarà più facile che evitare di subirlo. Il Lecce deve adesso battere il Carpi, soprattutto dimenticare di non esserci ancora riuscito dopo tre tentativi. In genere, nel proprio stadio si trasforma. Trova molto coraggio, dimentica la fatica, si lascia accompagnare per mano. Col passare dei minuti, specialmente gli attaccanti acquisiscono traiettorie estreme, di corsa e di tiro. Riescono a portare dentro l’area palloni molto pesanti. Nelle mischie sono molto più pericolosi: prima di ogni corner, il tiratore aspetta, scientemente, qualche secondo in più per far lievitare la torcida. È qui che i biancorossi devono andare oltre sé stessi, scoprire risorse mentali che nemmeno ritengono di avere. Pochissimi, a questo livello, sanno cosa significhi resistere a un rumore che toglie il ragionamento. Compreso gli arbitri.
AGGIUSTAMENTI – Brini parte con un solo dubbio: Melara. Tenterà di recuperarlo, il suo peso sarebbe un buon argine alla vitalità debordante di Tomi. In casa è un terzino diverso, abbandona la vergogna di giocare: non spazza, valorizza il pallone, lo cavalca fino in fondo. Gustinetti, invece, giocoforza deve riprogrammare tutto. E non è detto che sia uno svantaggio. Quella vista al Cabassi ha dato l’idea di essere una vecchia squadra di serie A. Quella di gara-2 sarà invece una buonissima squadra di Lega Pro. Larga, aggressiva, verticale. Meno ricca ma più vivace ed equilibrata. La squalifica di Memushaj leva guinzagli a Bogliacino, e fa spazio alla corsa robusta di un tamponatore di ruolo (De Rose). Anche lo stiramento di Jeda dà un piccolo abbuono: toglie dall’imbarazzo di far sedere un uomo scomodo, ma non più adatto a giocare in velocità. Il forfait più grave è eventualmente quello di Martinez. Un’esplosione di marmo: straordinario agonista, insuperabile nell’uno-contro-uno. Se non recupera, la difesa a 3 diventa un’opzione quasi obbligata. Con Giacomazzi da caudillo, ultimo baluardo e primo regista.
RITORNO – Il Lecce partirà all’attacco, nonostante i 30°C previsti. Non può far altro, deve arroventare l’atmosfera, dimostrare al proprio popolo di meritarne l’aiuto. Incendiandolo fin da subito. Andrà all’ingaggio, “o victoria o muerte”, spingendo forte proprio laddove finora è stato dominato: sugli esterni (Chiricò o Falco, se non entrambi). Il Carpi giocherà di blitz e contropiede manovrato. Ma dovrà preparare a memoria l’approccio. Potrà permettersi pochissimi errori entro tutta la partita. Nessuno, ma proprio nessuno nei primi 10-15 minuti dei due tempi. Sono fondamentali. Non decisivi, ma fortemente condizionanti. Stabiliranno la temperatura delle fiamme. Il resto sarà un lungo e paziente ancoraggio. Ai muscoli di Papini, alla sagacia di Bianco, alle piccole grandi cose di Della Rocca. Ovvero all’impermeabilità dei tre Virgili, che già conoscono le malebolge di “Via Del Mare”. E non possono averne paura.
Il Carpi non può dirsi favorito. Se pensa il contrario, sbaglia. Ma almeno sa di essersi guadagnato il rispetto di un avversario impossibile, in fondo a una stagione comunque straordinaria. E sa con precisione qual è la strada per fare l’impresa: il Paradiso dista esattamente un inferno. 
Enrico Gualtieri