“Vendere l’anima alle mafie è un suicidio”

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“Se soltanto dieci anni fa, in questa piazza, vi avessi parlato di omertà, mi avreste guardato stupiti e, probabilmente, mi avreste detto che era una questione limitata al Sud Italia. Oggi, dopo le indagini sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta e camorra nelle vostre aziende, nessuno può più dubitare che si tratti di una faccenda che riguarda anche il Nord”. Con queste parole Enzo Ciconte, studioso tra i massimi esperti delle organizzazioni mafiose, intervistato dal caporedattore di Radio Bruno, Pierluigi Senatore, nel corso del terzo incontro della rassegna Ne vale la pena, ha avvertito la platea di Piazza Garibaldi circa la necessità di alzare il livello di attenzione su un fenomeno che, se non combattuto sul nascere, rischia di non poter più essere sradicato. “Sebbene in Emilia Romagna, a differenza di Lombardia, Liguria e Piemonte, nessun membro del consiglio regionale sia stato eletto con i voti delle mafie e non vi siano evidenze di un controllo del territorio regionale da parte di camorra e ‘ndrangheta – ma si sa bene come queste siano radicate nel modenese e reggiano – la criminalità organizzata sta iniziando a bussare alle porte dei politici locali. Il punto è impegnarsi per fare in modo che non venga loro aperto”. Nonostante dunque non si sia ancora giunti ai livelli di Milano e del suo hinterland, dove settori dell’economia legata a trasporto ed edilizia sono in gran parte in mano alla ‘ndrangheta, e dove i casi di contatti tra imprenditori ‘sani’, politici e uomini d’onore non si contano, chi vive in Emilia non può certo dirsi salvo da tale nefasta presenza. “Al Nord – prosegue Ciconte – si ripetono logiche e dinamiche che da una vita stiamo combattiamo al Sud. Prendiamo gli imprenditori che stabiliscono rapporti con i mafiosi: all’iniziano pensano di aver trovato l’El Dorado, di usare le organizzazioni fin a quando ne hanno bisogno per poi disfarsene una volta ottenuti i vantaggi desiderati. In realtà nel rapporto imprenditore-mafioso, a rimetterci è sempre il primo, perché le mafie non fanno nulla per niente”. Ma come difendersi da un fenomeno che pare inarrestabile e tanto potente? “Occorre condurre una battaglia politico-culturale affinché coloro che fanno impresa prendano coscienza che vendere l’anima alle mafie rappresenta un suicidio, per loro e il territorio in cui operano. E nessuno si faccia illusioni: la piaga delle mafie non si può sperare venga combattuta soltanto al Sud. La questione riguarda l’Italia intera, quindi la si può affrontare soltanto restando uniti e compatti”.
Marcello Marchesini