Non lavora un italiano su due e la politica cosa fa?

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La chiusura dello stabilimento Coca Cola di Campogalliano è solo l’ultima: la doccia fredda è arrivata quando la Coca Cola Hbc Italia ha aperto la procedura di mobilità per tutti i 57 lavoratori attivi nella sede di Campogalliano nei ruoli impiegatizi e a supporto dell’attività commerciale, dichiarando la chiusura. Interessati dalla mobilità anche altri 249 dipendenti dell’area commerciale su tutto il territorio nazionale, parte dei quali impiegati nelle province emiliano romagnole. Si tratta di ulteriore disoccupazione che espone i lavoratori a una difficile ricollocazione in un contesto già complicato. I dati sulla disoccupazione acquistano connotazioni al limite dell’inverosimile: lavora solo un italiano su due. Peggio di noi solo la Grecia, denuncia l’Associazione Trentin della Cgil precisando che in Italia meno di un italiano su due in età da lavoro ha un impiego e confermando che il tasso di occupazione è sceso al 48,7% al penultimo posto in Eurozona.  Licenziamenti, delocalizzazioni, chiusure di pezzi dell’industria stanno segnando la fase recessiva: in Italia gli inattivi che vorrebbero lavorare sono oltre 3,2 milioni, un dato elevatissimo. Guardare a una politica che si concentra sulla riforma della legge elettorale, sull’eliminazione del Senato, sulla modifica della seconda parte della Costituzione, quella relativa all’organizzazione del potere, invece che sull’attuazione della prima, quella relativa ai diritti, è sempre più sconcertante. La parte relativa ai diritti è largamente dimenticata e basterebbe ricordare l’articolo 1 (“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”). E’ opinione comune che il lavoro ci possa essere in quanto, come prodotto di fattori economici che si sviluppano per conto loro, si producono posti di lavoro. La nostra Costituzione parte, invece, dall’idea che il lavoro è il principio e – scrive Gustavo Zagrebelsky in La maschera democratica dell’oligarchia – quei fattori  che possono influire sulla creazione di posti di lavoro vanno elaborati e costruiti dalla politica. E il professore conclude con una domanda: la crisi della politica dove si scarica? Si scarica sulla Costituzione, sulle istituzioni, sulle procedure… oppure è una crisi che va affrontata a livello politico? Sono più importanti le istituzioni o sono più importanti le forze che operano nelle istituzioni? C’è stato un periodo recente in cui forze ideali muovevano progetti e azioni degli uomini: se non c’è una prospettiva, se non si elabora un’idea di quella che può essere l’Italia del domani o del futuro, se non ci sono più opinioni in conflitto tra loro, la vita pubblica a cosa si riduce? Si riduce – scrive Zagrebelsky – alla gestione dell’esistente e alla salvaguardia delle posizioni acquisite, che è per l’appunto il terreno di coltura del nichilismo politico e delle oligarchie chiuse su se stesse medesime.  L’autorinnovamento della classe politica italiana deve venire ben prima delle modifiche costituzionali.
Sara Gelli
 

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