Non da sole

0
734

“Oggi finisce un viaggio durato sei mesi. Tutto è iniziato quando una mia amica mi ha dato un numero di telefono dicendo: Chiama, qui troverai persone che ti possono aiutare”. Il numero è quello di Vivere Donna, il Centro antiviolenza dell’Unione Terre d’Argine, che comprende i Comuni di Carpi, Soliera, Novi e Campogalliano. La sua sede è in via Don Sturzo 21 e la presidente, dalla primavera scorsa, è Vanna Borsari, volontaria e tra le fondatrici del centro. La violenza domestica è la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne fra i 16 e 44 anni ed è una delle forme di violazione dei diritti umani più diffusa e occulta nel mondo.
“Vivere Donna – spiega Vanna Borsari – accoglie esclusivamente donne che ritengono di subire violenza e hanno bisogno  di essere ascoltate: con noi possono parlare e lo sfogo, a volte, permette loro di rielaborare la situazione in cui vivono, capire se c’è una soluzione ed, eventualmente, intraprenderla”. Il Centro d’Ascolto di prima accoglienza è a disposizione per dare informazioni  e fornisce consulenze legali e psicologiche grazie alla disponibilità di professionisti. “Vengono da noi – continua Vanna – per sapere come muoversi ma tutto dipende dal livello di consapevolezza del loro problema”.
Vivere Donna fa parte della rete nazionale D.i.Re che rappresenta  67 centri antiviolenza presenti in Italia e promuove gruppi di confronto e occasioni di formazione e approfondimento. “C’è una rete anche a livello locale perché sono diversi i soggetti chiamati in causa: Forze dell’Ordine, Pronto Soccorso, Servizi Sociali e funziona perché c’è grande collaborazione” spiega Vanna.
Vivere Donna ha a disposizione un appartamento per ospitare donne in emergenza, “una casa rifugio concepita come un luogo sicuro in cui le donne possono abitare in autonomia coi propri figli, prendendo un momento di pausa per sottrarsi alla violenza”.
L’inserimento nell’appartamento è gestito dalla Onlus e dai Servizi Sociali dell’Unione Terre d’Argine e la permanenza può protrarsi al massimo per un mese, “dopodiché si decide un percorso condiviso con la donna che ha subito violenza. Ma il più delle volte tornano a casa”. Per le volontarie è avvilente, ma non si arrendono alla possibilità che le donne possano rielaborare successivamente in modo diverso la propria condizione.
“Ci sono donne, è il caso delle pakistane e delle maghrebine, che non riescono a vedersi sole oppure donne, italiane e dell’Est per esempio, che hanno un grande coraggio e possono decidere del proprio futuro perchè lavorano e sono indipendenti economicamente. Nel loro caso la violenza si scatena ancora più forte. Poi ci sono donne che, quando decidono di abbandonare il loro compagno, non trovano nemmeno l’appoggio della famiglia d’origine e si ritrovano completamente sole. Retaggi antichi sopravvivono e giustificano certe violenze da parte dei compagni” racconta Vanna.
Per questo l’informazione e la prevenzione diventano fondamentali, a partire dai banchi di scuola: “grazie al finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, quest’anno proporremo un progetto al Liceo Fanti in collaborazione con alcune insegnanti particolarmente sensibili. Nell’ambito di una ricerca condotta dall’Ateneo di Modena e Reggio Emilia è stata rilevata la diffusione dello stereotipo secondo il quale la gelosia è la dimostrazione di amore vero con il rischio che si possano giustificare anche limitazioni della libertà personale”.
Sara Gelli
 

clicca e unisciti al nostro canale whatsapp
clicca e unisciti al nostro canale whatsapp
clicca e unisciti al nostro canale whatsapp