A Franco Mosconi, professore di Economia industriale dell’Università di Parma chiediamo:
Come è mutato nel tempo il distretto di Carpi?
“Ciò che Daniela Bigarelli di R&I nel suo ottimo lavoro, chiama la “polarizzazione delle dimensioni d’impresa”, dice molto dei mutamenti del distretto. Quando le prime 15 imprese finali di maggiori dimensioni danno conto di quasi i due-terzi del fatturato distrettuale, significa che qualcosa di profondo e importante è avvenuto. Sono imprese, a tutti ben note, dalle spalle più robuste, caratteristica che consente loro di investire incessantemente nei brand, nella progettazione delle collezioni, nelle reti di negozi monomarca in Italia e in giro per il mondo. Attività costose che hanno bisogno di capitale umano qualificato”.
Quali le maggiori criticità?
“Le criticità non mancano. Non dimentichiamo che si tratta di un distretto che vale intorno a 1,5 miliardi di euro di fatturato aggregato ed è oggi composto – come rileva l’Osservatorio di R&I – da 261 imprese finali e da 618 imprese di subfornitura (erano 1.700 nel 2000). Ora, chi ha piccole dimensioni d’impresa e non lavora per il mercato finale con un marchio proprio, può avere delle difficoltà. E negli ultimi anni sono state difficoltà effettive: ha operato una sorta di “selezione darwiniana”. Questo è un punto assai sensibile, perché la forza dei distretti è da sempre (anche) nella pluralità dei suoi protagonisti.”.
Quali le sfide da vincere in futuro per evitare una ulteriore contrazione dell’occupazione e un ridimensionamento nel numero delle imprese?
“Sono sfide impegnative, per le quali nessuno ha la bacchetta magica. Le esperienze distrettuali italiane di maggior successo di questi ultimi anni (non pensiamo solo alla moda ma, ad esempio, alla meccanica) insegnano almeno tre semplici cose. Primo, le imprese medio-grandi si prendono cura della “filiera” dei subfornitori sul territorio, poiché sanno che – quando il mercato si riprenderà – senza coloro che fanno “su misura” ciò di cui hanno bisogno, non possono andare da nessuna parte. Secondo, sono venute diffondendosi – grazie alla collaborazione di imprenditori, sindacati e associazioni – numerose esperienze di “welfare aziendale” capaci di aiutare il lavoratore e la sua famiglia. Terzo, un ruolo cruciale è quello giocato dall’Istruzione Tecnica Superiore, da potenziare avvicinandosi sempre più al modello tedesco. A mio giudizio, Il tempo è propizio per parlare, con maggiore convinzione, di queste cose anche a Carpi”.
Jessica Bianchi