Un libro su Novi e la sua storia, che parte dalla prima citazione nei documenti, in una pergamena datata 923: Novi nel Medioevo e in Età Moderna scritto dal rolese Davide Ferretti, 62 anni, ex professore in pensione, è stato presentato lo scorso 15 novembre, alla presenza dell’autore e del sindaco, Luisa Turci, in una sala Arci gremita.
Ferretti, come mai un libro sulla storia di Novi?
“Novi è un luogo che frequento e amo, ma oltre ai legami affettivi con la comunità novese, un altro motivo mi ha indotto a tale studio: le locali vicende storiche del Medioevo erano state finora poco esplorate. Penso di aver dato, con questa pubblicazione, promossa dal Gruppo Storico Novese, del quale faccio parte, un contributo alla ricostruzione di questo lungo periodo storico”.
Quali sono gli aspetti più interessanti emersi dalla sua ricerca storica?
“Sicuramente fra gli aspetti interessanti rientrano le notizie relative al castello di Novi, la cui prima citazione risale al X secolo. Mentre per l’alto Medioevo non si può dire quasi nulla sul fortilizio novese, anche perché non disponiamo di dati archeologici, i documenti d’archivio del Duecento e del Trecento forniscono alcune informazioni abbastanza precise sull’abitato e sul castello di Novi, che a quell’epoca si presentava come un villaggio fortificato. Nel 1373 i Pio di Carpi ricevettero Novi in feudo dalla Chiesa di Reggio e, nel corso del secolo successivo, potenziarono le difese del castello, trasformandolo in una fortezza ben munita e dotata di un palazzo signorile, dove vari esponenti della famiglia abitarono per periodi più o meno lunghi, soprattutto nei momenti in cui Carpi rischiava di cadere in mano ad avversari o truppe nemiche. Con discreta precisione si conosce la zona in cui sorgeva il castello presente a Novi nel basso Medioevo: nei pressi delle scuole realizzate dopo il terremoto dello scorso anno. Si tratta dell’area poi conosciuta col toponimo Montruzzi, “monticelli di rottami”, in riferimento alle macerie che rimasero dopo la distruzione del castello, avvenuta nell’inverno 1537-38, decisa dal duca Ercole II d’Este. Un altro aspetto sinora poco noto è che nella seconda metà del 500, Novi fu coinvolta in aspre lotte di schieramento. A quel tempo, per indicare le fazioni avverse si usavano ancora i termini guelfi e ghibellini, risalenti all’età comunale. Le lotte tra gruppi familiari della zona erano motivate, oltre che da interessi di schieramento politico (fautori degli Estensi contro fautori dei Gonzaga di Mantova, filofrancesi contro filoimperiali), anche da faide familiari, rivalità campanilistiche, interessi economici e ragioni di prestigio”.
Ma come si viveva a Novi nei secoli scorsi?
“La popolazione era costituita per lo più da piccoli agricoltori e da povera gente che doveva fare i conti con frequenti carestie. Una delle calamità peggiori fu l’epidemia di peste del 1630. I novesi, che allora vennero isolati dalla vicina Carpi, furono letteralmente falcidiati dal terribile contagio”.
Un libro che vuole dunque riscoprire, valorizzandole, le radici della comunità novese in un momento particolarmente delicato per il paese, alle prese con le gravi conseguenze del sisma dello scorso anno. Tra queste anche il crollo della Torre dell’Orologio, uno dei simboli di Novi.
In che modo, secondo lei, il suo libro può essere prezioso in questo momento?
“E’ chiaro che un libro, di fronte alla tragedia che si sta vivendo ora, appare davvero un contributo di scarso rilievo. La popolazione di Novi è stata duramente colpita da un terremoto che nessuno si aspettava. Forse questa pubblicazione può favorire la consapevolezza che anche nel passato i novesi hanno dovuto affrontare difficoltà e sofferenze enormi come epidemie, carestie, guerre e invasioni straniere, ma sono sempre riusciti a risollevarsi. La comunità novese ha più volte dimostrato una forza straordinaria, esattamente come ora. La tragedia del sisma ha contribuito anche a far riscoprire il senso di comunità, sempre forte a Novi, ma che forse negli ultimi anni si era un po’ affievolito”.
Un sisma così violento a Novi e nella zona della Bassa modenese si registrò anche circa cinquecento anni fa. Lei ha trovato qualche testimonianza in merito?
“Sembrerà strano, ma nei documenti da me esaminati non figura alcun riferimento a quel terremoto”.
Federica Boccaletti