Ultras tutta la vita

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Non ci stanno ad accostare la violenza al calcio. Non ci stanno a passare per teste calde. E’ spesso solo un luogo comune, dicono, generato soprattutto dalla fotografia che anche i media volutamente diffondono. E’ quanto sostengono Alberto e Luca, due ultras del Carpi Calcio, o meglio due esponenti del gruppo Guidati dal Lambrusco, orgogliosi di rappresentare il cuore pulsante della tifoseria biancorossa e di seguire una squadra che, a testa alta, ha affrontato la promozione in Serie B.
I fatti di Roma, in occasione della finale di Coppa Italia, raccontano un’altra realtà. Ci hanno mostrato il volto di un mondo ultra che ha ben poco a che fare col divertimento e lo sport.
“E’ quello che si è voluto inculcare nella testa della gente. Qualsiasi forma di violenza va condannata, allo stadio, come in discoteca, per strada o all’interno delle mura domestiche. Ora, però, dopo quanto accaduto all’Olimpico, tutti stanno parlando di Genny ‘a Carogna, distogliendo l’attenzione dal vero problema. Il fatto gravissimo è che all’esterno dello stadio, nel parcheggio riservato alla tifoseria napoletana, sono arrivati dei romani armati che cercavano lo scontro e lì non c’erano le Forze dell’Ordine. E’ evidente dunque che c’è stata un’enorme falla nel piano della sicurezza approntato in vista della gara, così poi si è cercato di spostare l’attenzione mediatica su qualcos’altro. Chi meglio di Genny?”
Quindi Gennaro De Tommaso sarebbe una sorta di capro espiatorio?
“In parte sì. In quel momento la situazione rischiava di esplodere, i giocatori del Napoli non volevano giocare considerato quanto accaduto  all’esterno dello stadio. Così la società e le Forze dell’Ordine hanno chiesto ai giocatori di parlare e trattare coi tifosi e il capitano partenopeo ha invitato Genny a scendere. Lui ha accettato di fungere da mediatore, ha fatto una cosa positiva e, invece, è stato accusato di invasione di campo, beccandosi il Daspo per 5 anni, anche per un “reato d’opinione” a causa della scritta che aveva sulla maglietta. L’hanno visto tutti, la trattativa c’è stata, forse avrebbero dovuto usare maggiore discrezione e non farla in mondo visione”.
Come è possibile che siano così frequenti episodi violenti negli stadi?
“Non è così. Basti pensare a quante migliaia di partite vengono giocate tutti i fine settimana, il calcio non è affatto il luogo privilegiato della violenza, ma è lo specchio della società, coi suoi pregi e i suoi difetti. Possono verificarsi episodi incresciosi, talvolta anche gravi, ma il calcio è uno sport che aggrega tantissime persone e, quando molta gente si riunisce in un unico luogo, è più facile che possano accadere problemi, poi su questi episodi si sprecano fiumi di inchiostro, mentre quando le tifoserie danno vita a iniziative di solidarietà, che sono tante, al massimo le ricordate in un trafiletto. Questo è sbagliato, perché inevitabilmente contribuisce a dare un’immagine distorta del mondo del tifo calcistico. Il calcio è soprattutto identità, emozione e passione ma, evidentemente, in Italia non c’è alcuna volontà di incrementare il pubblico all’interno degli stadi, anzi sappiamo benissimo che molti sono interessati a far aumentare gli abbonamenti alla Tv a pagamento. Infine, chi governa ha spesso bisogno di indicare alla società civile un nemico, verso il quale indirizzare le peggiori misure. Ora questo nemico siamo noi, gli ultras: se accendi un petardo a Capodanno sei un goliardico, se lo fai allo stadio sei un delinquente”.
Esiste un potere eccessivo della tifoseria organizzata, dei cosiddetti capi ultras. Perché?
“Anche questo non è sempre vero, può esserlo nelle grandi realtà dove la passione si mescola al business e fare il tifoso può diventare un lavoro, ma sicuramente non lo è nelle realtà minori come la nostra. Noi vogliamo contribuire solo a riempire il nostro stadio e a far sì che sempre più gente venga con noi, in casa e in trasferta, per dare supporto alla squadra e per favorire questa forma importante di socialità. Per noi le partite sono un’occasione di festa, per stare insieme. Considerando che oggi tanti ragazzi preferiscono i social network, per noi lo stadio è una vera piazza social, dove non c’è bisogno di nascondersi dietro un  computer ma si costruiscono rapporti veri, reali. Il nostro potere è semplicemente quello di esprimere e riuscire a trasmettere a quante più persone possibili  la passione per il calcio e per i colori della nostra città”.
Federica Boccaletti