Quando ci chiederemo come mai i capannoni industriali di Carpi hanno subito un deprezzamento superiore alla media sarà già troppo tardi. Nessuno oggi ha il coraggio di lanciare il sasso nello stagno ma la situazione non rimarrà così tranquilla ancora per molto e sono già state disposte alcune chiusure di immobili dichiarati inagibili. E’ il caso di quelli che non hanno provveduto a ottenere nemmeno l’agibilità provvisoria ma presto anche chi ha messo in sicurezza il proprio capannone dovrà adeguarlo secondo le nuove norme antisismiche. A Carpi, ma non a Fossoli. E’ questo che stabilisce la cosiddetta mappa di scuotimento che, così come congegnata, comporta ingiuste sperequazioni tra imprenditori operanti in zone limitrofe. A Fossoli i capannoni si intendono collaudati dalla natura, a Carpi, in considerazione del fatto che la sollecitazione è stata inferiore alla soglia fissata dal decreto, dovranno essere adeguati alle norme antisismiche e dovranno provvedere i proprietari entro il 2018. Alle prese con la crisi, difficilmente gli imprenditori metteranno mano al portafogli e non ci sono linee di credito a fondo perduto predisposte a tal fine. Per dotarsi dell’agibilità provvisoria era stato stanziato qualche soldo, per la definitiva non sembra esserci l’ombra di un quattrino.
E se il loro capannone dovesse essere dichiarato inagibile? Potrebbero rifiutarsi di pagare le tasse. Oppure potrebbero trasferire l’attività a Campogalliano, fuori dall’area del cratere. Entrambe le ipotesi penalizzerebbero il territorio di Carpi dove gli immobili non rappresenterebbero più un bene. E a rimetterci sarebbero anche quelle famiglie di ex imprenditori del tessile che si sono poi avventurati nel settore immobiliare e che sulle entrate derivanti dall’affitto di capannoni basano la loro sopravvivenza.
Si aprono spiragli inquietanti per il futuro trascurando oggi di affrontare la questione.
Se l’ipotesi di trovare soldi subito si fa sempre più remota, si è fatta strada in Regione l’idea di escludere Carpi dall’area del cratere sismico, ma con la conseguenza di escluderla dai contributi che le spettano per la ricostruzione del patrimonio pubblico e dei privati. Il nodo si potrebbe sciogliere in modo più agevole e salvaguardando il nostro territorio se si rimettesse mano alla legge stabilendo che i lavori effettuati per l’agibilità provvisoria si possono considerare sufficienti. La speranza è che non si trovi la classica soluzione ‘all’italiana’ prorogando la scadenza dal 2018 al 2020.
Sara Gelli