Emanuele Severino: “La tecnica non ha l’ultima parola”

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Pòlemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi, gli altri liberi”. Proprio a Pòlemos, protagonista di questo celebre frammento di Eraclito e che, nella mitologia greca, rappresentava il demone della guerra, è stata dedicata la lezione magistrale di Emanuele Severino, uno tra i più illustri filosofi non soltanto italiani. E la fama del professore, docente a Venezia e Milano nonchè Accademico dei Lincei, ha riempito Piazza Martiri di migliaia di persone pronte ad ascoltarlo in religioso silenzio. E nel silenzio il filosofo ha iniziato un viaggio a ritroso, partendo dalla nostra contemporaneità per risalire al principio del pensiero occidentale. “La guerra ha cambiato volto da quando l’Unione Sovietica ha cessato di porsi alla guida dei popoli poveri. Allora, al tempo della Guerra fredda, la tensione nucleare originava una deterrenza tale per cui vi era il tabù a utilizzarle, e la stessa Urss non poteva consentire un’escalation che potesse superare il limite di guardia che avrebbe sicuramente innescato un processo conclusosi inevitabilmente con il reciproco annichilimento”. Oggi, invece, pare si sia tornati al Bellum omnium contra omnes, allo scontro di tutti contro tutti, dimenticandosi però di un aspetto fondamentale, quello della tecnica. “Questo è il vero fattore unificante, rispetto al quale tutti i popoli e le fazioni in lotta sono subordinati. La tecnica non è il capitalismo che, invece, credendo di servirsene, ne è asservito. Lo scopo iniziale dei vari contendenti, che è quello di prevalere sugli avversari, richiede un sempre maggiore potenziamento tecnico. Questo però, col tempo, sostituisce lo scopo originario, diventando l’unico orizzonte possibile”. Ma secondo Severino la tecnica, vera dominatrice del nostro tempo, non domina soltanto la guerra, ma ogni aspetto della vita dell’umano consesso, dalle migrazioni all’economia sino, naturalmente, alla scienza. “Agli amici cattolici dico spesso che il loro vero nemico non è il relativismo, bensì il pensiero secondo cui se ci fosse un dio non potrebbero esistere la natura e le cose, perché ogni cosa è un ‘diventar altro’, un trarre dal nulla all’essere. E la tecnica è lo strumento per fare questo”. Anche rispetto ai presunti limiti della tecnica, Severino è perentorio: “sento sovente dire che la tecnica non dovrebbe violare l’inviolabile, che ci sono ambiti sulla soglia dei quali è giusto che si arresti. Ma è stato chiaramente dimostrato che l’essenza stessa della tecnica è che tutto ciò che può essere fatto sarà fatto”. Dunque l’umanità è condannata a un mondo in cui l’uomo stesso, per parafrasare, invertendola, la nota massima di Kant, venga trattato come un mezzo e mai come un fine? E’ proprio qui, al termine della sua lezione, che il filosofo si limita ad accennare a un elemento di speranza del quale si dichiara certo al di là di ogni dubbio: “occorre fare a meno del modo in cui il pensiero ha concepito sino a ora la ‘cosa’, l’essere. Dico dunque che la tecnica non ha l’ultima parola”.
Marcello Marchesini