“Francoforte è la mia casa”

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L’Europa è la sua casa. Il luogo giusto nel quale mettersi in gioco e ritagliarsi uno spazio di crescita e affermazione professionale. Il carpigiano 35enne Francesco Brighenti, dopo un diploma al Liceo Scientifico Fanti e una laurea conseguita presso la prestigiosa Università Bocconi di Milano all’indirizzo Economia e management delle istituzioni e dei mercati finanziari, non ha esitato un attimo a lasciare la Corte dei Pio per inseguire un sogno dai contorni ben più ambiziosi.
“Dopo la laurea, nel 2004, per alcuni anni ho lavorato a Milano, per poi spostarmi dapprima a Lugano in Svizzera e, nel 2013, a Francoforte, in Germania, dove ora vivo insieme a mia moglie Valentina e alla nostra piccola Maria Vittoria”.
Di cosa ti occupi?
“Sono il responsabile dell’area tedesca (Germania, Austria e Svizzera tedesca) di Volaris Group, una software house canadese. In modo particolare curo le acquisizioni che il gruppo opera in questi paesi”.
Perché hai deciso di lasciare l’Italia per affermarti all’estero?
“E’ un’opzione che valuto sin dall’università; d’altronde il background internazionale in Bocconi è fondamentale: l’ateneo, infatti, punta moltissimo a instillare negli studenti una forte e spiccata propensione alla globalità. L’esperienza maturata a Colonia durante il progetto Erasmus poi, mi ha ulteriormente motivato. Dopo gli studi universitari il desiderio di tornare all’estero per completare la mia formazione personale, unitamente alla consapevolezza che l’Italia non è un paese meritocratico, mi ha indotto a lasciare i confini nazionali alla ricerca di un luogo nel quale se sei bravo puoi crescere in fretta e far carriera”.
Come è la tua vita a Francoforte?
“La mia vita ha un ritmo serrato: viaggio spesso in lungo e in largo per la Germania e, un paio di volte all’anno, volo in Canada alla casa madre. Fortunatamente con me ci sono mia moglie e mia figlia che mi hanno seguito anche in questa avventura”.
Quali sono stati gli ostacoli più duri da superare?
“La cultura tedesca è profondamente diversa da quella italiana: per i tedeschi non esistono sfumature, solo bianco e nero; la nostra forma mentis è a dir poco agli antipodi rispetto alla loro. All’inizio ci si sente soli: la lingua è ostica, non si conosce nessuno, comprendere le logiche di un altro paese, a partire dal sistema sanitario, richiede tempo. Nulla è scontato. Qui però tutto è a dir poco fantastico: nonostante l’imposizione fiscale sia alta infatti, tutti pagano le tasse e, di conseguenza, i servizi funzionano alla perfezione”.
Ci fai qualche esempio di efficienza?
“Lo Stato, ad esempio, oltre a prevedere assegni mensili per ogni figlio a prescindere dal reddito famigliare, ti assicura un posto in un asilo nido o in una scuola materna per ognuno dei tuoi figli al fine di garantire a entrambi i genitori la possibilità di lavorare. Quando entri in territorio tedesco poi, sei obbligato a stipulare un’assicurazione (privata o pubblica) sulla salute, la quale viene pagata attraverso una detrazione mensile dallo stipendio e sostenuta a metà dal datore di lavoro e dal dipendente stesso. Grazie a tale assicurazione tutti i servizi sanitari (salvo rare eccezioni) sono gratuiti: nessuna prestazione si paga, poiché tale costo è già incluso nel versamento mensile. Ciò garantisce la massima trasparenza, un servizio snello, veloce ed efficiente e, soprattutto, elimina alla radice la piaga del lavoro nero. Per adattarci alla nostra nuova vita a Francoforte abbiamo dovuto affrontare numerose difficoltà ma i vantaggi rispetto all’Italia sono davvero incomparabili”.
La Germania è unanimemente riconosciuta come il motore dell’Europa. E’ davvero così o anche lì si sentono gli effetti della crisi?
“La crisi c’è, ma si avverte poco o nulla. Certo, prima le aziende assumevano di più e trovavi lavoro con maggiore facilità ma il mercato è tuttora aperto, il tasso di disoccupazione è basso e sono previsti assegni famigliari per chi è rimasto senza un’occupazione. La Germania è davvero il motore dell’Europa: i tedeschi hanno saputo trarre vantaggio da un congiuntura europea negativa perché sono riusciti ad accantonare fieno in cascina, per così dire, in tempi non sospetti e, nel momento del bisogno, si sono fatti trovare pronti”.
Cosa ti manca di più di Carpi?
“La mia famiglia, i miei affetti. Ma – sorride – non è tanto Carpi a mancarmi, quanto la capacità squisitamente italiana di condividere. Nessuno è espansivo quanto noi: stringere legami significativi qui è molto complesso. Occorre vincere resistenze, chiusure. E poi mi manca il clima: a Francoforte il sole si vede molto raramente”.
Dove immagini il tuo futuro?
“Dopo aver sperimentato la perfezione, tornare indietro ai buchi e alle voragini italiane sarebbe davvero molto difficile.
Nel medio periodo però vorrei riuscire a creare qualcosa, dando vita a una società di consulenza tutta mia. Il progetto è in cantiere, ci sto lavorando e chissà… forse potrei concretizzarlo in Italia. Vedremo”.
Jessica Bianchi

 

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