Il nuovo umanesimo della giovane Etty

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Etty Hillesum conduce un’esistenza simile a quella di tante altre giovani olandesi fino al momento in cui, chiamata a confrontarsi con la realtà del suo tempo, non si sottrae ed emerge in tutta la sua straordinarietà. Muore a 29 anni, nel 1943, ma lascia in eredità Diari e Lettere, scoperti molto tardi e pubblicati per la prima volta negli Anni ’80. In quelle “mille pagine che raccontano tre anni di vita” è racchiusa tutta la ricchezza che tanti studiosi si sono impegnati a mettere in luce. Ha contribuito a valorizzare l’eredità di Etty Hillesum, a cui ha dedicato la tesi di laurea triennale L’antropologia della compassione nelle opere di Etty Hillesum, conseguita presso la facoltà di Filosofia dell’Università di Macerata, l’avvocato Andrea Ballestrazzi, carpigiano, tra i fondatori dell’associazione di volontariato Ho avuto Sete Onlus. Il lavoro di Ballestrazzi è stato ospitato nella collana I Quaderni del Ferrari perché “crediamo – scrive il presidente del Centro Culturale Francesco Luigi Ferrari, Paolo Tomassone – sia fondamentale, ai nostri giorni, lasciarci interrogare dalle domande che tanti testimoni del 900 hanno consegnato a noi”.
L’occasione per conoscere Etty Hillesum è la serata di venerdì 2 febbraio presso la Fondazione San Filippo Neri (via Sant’Orsola, 40 a Modena): dopo la cena a buffet (10 euro) per finanziare il progetto dell’associazione Ho Avuto Sete onlus di costruzione di aule e laboratori per una scuola di Chikuli in Malawi, dalle 21 si alterneranno musica (con Alessandro Pivetti al pianoforte e Simone Di Benedetto al contrabbasso) e parole con l’intervento di don Erio Castellucci, arcivescovo di Modena – Nonantola, Andrea Ballestrazzi, Gianpietro Cavazza, vicesindaco di Modena, Pierluigi Castagnetti, presidente della Fondazione ex-Campo Fossoli.
“La svolta nella vita di Etty Hillesum è segnata dalla scelta di prestare servizio come assistente presso l’ospedale del campo di transito di Westerbork, al confine tra Olanda e Germania – spiega Ballestrazzi – ma poi la giovane ebrea olandese decide di tornare per condividere fino in fondo il destino del suo popolo”. Su consiglio del dottor Julius Spier, chirologo e psicoterapeuta, col quale stringe un’intensa relazione umana e sentimentale, Etty, che coltiva la passione per la lettura e gli studi di filosofia, terrà un diario come parte integrante della sua terapia. Fino a quando, insieme alla sua famiglia, verrà trasferita ad Auschwitz dove morirà il 30 novembre 1943.
“I suoi ideali temprati ma non induriti dalle vicende della storia le consentono di attraversare – afferma Ballestrazzi – il male e il dolore trasformandoli. Il cammino di maturazione di Etty Hillesum, la cui intensità come scrive nella prefazione il prof Roberto Mancini è simile a un itinerarium vitae in Deum, affronta l’ostacolo più grande del suo tempo, cioè la sofferenza e la sua riflessione comincia con tre inviti. Il primo è quello di assumere, sempre e in prima persona, la realtà qualunque essa sia. Il secondo invito è la raccomandazione a sopportare il dolore, un’arte che deve essere imparata (…)  non sono i fatti a contare nella vita, conta solo ciò che grazie ai fatti si diventa. Infine l’ultimo invito riguarda la necessità di integrare, dentro di sé, l’esperienza del dolore dopo averla assunta e sopportata”.
Per Etty Hillesum la compassione è la risposta all’incomprensibilità del dolore. Scrive nei suoi Diari: “se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati a ogni costo – e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione – allora sarà troppo poco. Dai campi stessi dovranno irraggiarsi nuovi pensieri, nuove conoscenze dovranno portar chiarezza oltre i recinti di filo spinato, e congiungersi con quelle che là fuori ci si deve conquistare con altrettanta pena, e in circostanze che diventano quasi altrettanto difficili. E forse allora sulla base di una comune e onesta ricerca di risposte chiarificatrici su questi avvenimenti inspiegabili, la via sbandata potrà di nuovo fare un cauto passo avanti. Per questo mi sembrava così pericoloso sentir ripetere: Non vogliamo pensare, non vogliamo sentire, la cosa migliore è diventare insensibili a tutta questa miseria. Come se il dolore – in qualunque forma si presenti a noi – non facesse ugualmente parte dell’esistenza umana”. Etty Hillesum arriva così a concepire una convivenza rigenerata, fondata su un nuovo umanesimo.
Sara Gelli

 

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