Sono 201 (23 nell’ultimo anno) le persone che, dalla sua nascita, hanno seguito il percorso di Volontariato di Pubblica utilità, presso 20 enti del Terzo settore per un totale di oltre 23mila ore: questi i numeri del progetto nato nel 2012, dopo la convenzione siglata tra Fondazione Casa del Volontariato e Tribunale di Modena.
“La convenzione, ormai storica, – commenta il presidente della Fondazione Casa del Volontariato, Nicola Marino – prevede la prestazione di attività non retribuite in favore della collettività, in commutazione della pena ricevuta dopo aver commesso il reato di guida in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti (ndr – nella fattispecie sono coinvolti soltanto coloro che non hanno provocato incidenti ma che sono stati trovati positivi all’alcoltest durante un controllo). Un’alternativa importante alla condanna penale e, allo stesso tempo, un’opportunità preziosa per il mondo del volontariato di farsi conoscere. Alcune persone che hanno prestato servizio, una volta terminato il monte-ore stabilito dal Tribunale, hanno infatti deciso di restare all’interno dell’associazione cui erano stati assegnati, segno ulteriore che, a volte, la solidarietà basta iniziare a praticarla concretamente per non poterne più fare a meno”.
Il progetto rappresenta dunque un positivo esempio di avvicinamento delle persone alla galassia del volontariato e ai suoi principi, nonché un viatico per rendere sempre più diffusa questa modalità alternativa di intendere la pena, non solo come punizione, quanto, soprattutto, come opportunità educativa.
“Spesso – spiega Nadia Bonamici, referente del progetto per la Fondazione Casa del Volontariato – si pensa che i partecipanti siano soprattutto giovani, in realtà, le età maggiormente rappresentate sono quelle che vanno dai 30 ai 50 anni. Sono perlopiù uomini (l’85%), professionisti, operai… accomunati da storie simili. Dopo una cena con gli amici sono stati fermati e trovati con un tasso alcolemico superiore allo 0.8. In crescita negli ultimi anni gli stranieri che rappresentano il 25% dei partecipanti al percorso”.
Gli enti di accoglienza sono venti, “un ampio ventaglio – prosegue Bonamici – che consente a tutti i lavoratori, anche a quelli su turni, di trovare spazio, tendenzialmente nel territorio di residenza, per poter svolgere le ore che gli sono state assegnate”.
Tra le associazioni vi è anche il Csi, realtà che ha accolto nel tempo “una ventina di persone. Un’esperienza positiva – commenta Giuliana Gualdi – che, in particolare, ha segnato la vita di due partecipanti i quali hanno deciso una volta terminato il proprio percorso di restare al’interno dell’associazione come volontari”.
Jessica Bianchi