“Prevost potrebbe essere una figura meno protagonista e carismatica di papa Francesco, ma anche per questo capace di promuovere una Chiesa sinodale, un’elaborazione comunitaria. E la sua doppia nazionalità, la conoscenza di tanti paesi e la sua vicenda di immigrazioni familiari lo rende un uomo consapevole di cosa significa attraversare i confini. Con lui la Chiesa potrà fare quei passi avanti di cui questo tempo e questo mondo hanno un estremo bisogno”: così il carpigiano Brunetto Salvarani, teologo, giornalista, scrittore. Docente di Missiologia e Teologia del dialogo presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna di Bologna e presso gli Istituti di Scienze Religiose di Bologna, Modena e Rimini, risponde alle domande di Tempo all’indomani dell’elezione di Papa Leone XIV anche alla luce di uno degli ultimi suoi libri, “Senza Chiesa e senza Dio. Presente e futuro dell’Occidente post-cristiano” (2023).
Professore, sorprende la velocità con cui si è arrivati all’elezione. Ci è sfuggito qualcosa?
“Penso che all’origine ci sia la volontà da parte del collegio cardinalizio di dare all’esterno un segnale di unità, valore fondamentale nella Chiesa. Nel momento in cui si è arrivati a un’ipotesi di lavoro credibile, scartando quelle emerse anche giornalisticamente ma che non hanno suscitato rapidamente un favore generale, si è andati diritti al punto, a una soluzione che si è pensato rispondesse alle esigenze di un momento complesso e difficile anche all’interno della Chiesa cattolica”.
I primi minuti sul balcone e questi primi giorni cosa ci dicono di lui?
“Tante cose, anche se per una valutazione più ponderata occorrerà attendere tempo, ovviamente. Gli specialisti, peraltro, sostengono che bastano i primi cento secondi di un Papa per farsi una prima idea. In questa occasione il nuovo Papa è apparso come una figura timida, quasi impacciata, certo commossa e compresa in un momento chiave non solo per la sua vicenda esistenziale. Non è un caso che abbia deciso di scrivere il discorso su quel grande foglio che aveva davanti e che l’abbia letto, mentre gli ultimi Papi l’hanno fatto a braccio. È emersa l’umanità di Prevost, che pure non ha trascurato l’elemento tradizionale-sacrale, sottolineato dalla scelta di rimettere la mozzetta e la stola rossa, mentre Papa Francesco aveva deciso di indossare solo la talare bianca. Le parole utilizzate sono state dense di significato, a partire dal richiamo iniziale alla pace, pronunciando le stesse parole di Gesù ai discepoli dopo la resurrezione, “la pace sia con tutti voi”: è uno dei messaggi cristiani per eccellenza. Poi ha utilizzato diversi termini aventi valenza strategica come dialogo, ponti, camminare insieme, ancora pace (“disarmata e disarmante”), ma anche il più tecnico termine di sinodalità. Tutto questo fa pensare a una continuità rispetto al papato precedente. È una Chiesa che si manifesta nel suo carattere di ponte, d’altra parte pontefice è ‘colui che costruisce ponti’ e non muri. Da sottolineare anche il momento di calore e gioia quando ha ringraziato le sue due diocesi quella peruviana di Chiclayo e quella romana, parlando in spagnolo e in italiano. I vent’anni di missione in Perù sono fondamentali per capire di più di Papa Leone XIV, non c’è dubbio”.
La scelta del nome Leone che cosa evoca? Che cosa ci si deve aspettare da un Papa che si chiama Leone?
“Il riferimento primario, come ha ammesso egli stesso, è a Leone XIII che, nel suo lungo papato dopo Pio IX, ha gestito con oculatezza il periodo successivo alla perdita del potere temporale e alla fine dello Stato della Chiesa. In particolare, nella sua enciclica Rerum Novarum del 1891 decide di fare i conti con la modernità della rivoluzione industriale che portò un cambiamento epocale così come oggi l’Intelligenza Artificiale e le nuove tecnologie. A quell’enciclica strategica fa riferimento Leone XIV perché la Chiesa non si chiuda a quest’altra rivoluzione tecnologica che è una sfida soprattutto per la dignità umana, per la giustizia e per il lavoro”.
Papa Leone XIV si definisce ‘figlio di Agostino’, cosa significa?
“Che è un religioso agostiniano ed è il secondo religioso consecutivo che diventa papa, in quanto Bergoglio era gesuita. È un frate. Agostino è il gigante del pensiero cristiano del primo millennio, figura straordinaria anche per la storia della filosofia, le sue Confessioni sono un libro bellissimo e c’è chi dice segnano l’inizio della letteratura d’ introspezione. È stato vescovo, grande lottatore contro le eresie e con vicende sentimentali significative. Dopo mille anni, viene ripreso all’inizio del 1200 in un periodo chiave per la Chiesa che celebra il Quarto Concilio Lateranense. Nascono in quegli anni gli ordini dei francescani, dei domenicani e anche degli agostiniani. Ciò che caratterizza questi ultimi è una grande spiritualità, una notevole capacità d’introspezione e una vita missionaria. Papa Leone XIV ha sottolineato il suo legame con Agostino quando ha citato il Sermone 340, “con voi sono cristiano, per voi sono il Vescovo”.
Sul fronte politico se è stato eletto un cardinale americano ci si deve intravedere lo zampino di Trump?
“Io penso proprio di no, mi sembra più interessante pensare alla scelta di un Papa straniero in una Chiesa cattolica ormai decisamente planetaria. Nel 1945 alla fine della Seconda guerra mondiale le tre grandi nazioni cattoliche erano l’Italia, la Germania e la Francia oggi i grandi Paesi cattolici sono il Brasile, il Messico, le Filippine e gli Stati Uniti che sono al terzo posto come numero di cattolici a pari merito con le Filippine. Non ha pesato la provenienza, quanto piuttosto l’identikit di questo uomo che è fondamentalmente un missionario, oltre che uomo di governo (ha retto a lungo il suo ordine e poi il Dicastero per i vescovi). La Chiesa, d’altra parte, è missionaria, si esprime primariamente nella sua capacità di evangelizzazione”.
È questa la grande sfida per Leone XIV?
“Cosa significa oggi essere missionari? Questa è la sfida in una situazione geopolitica così frammentata, con l’avanzare impetuoso dei nazionalismi e degli etnocentrismi, con le guerre in corso, il cambiamento climatico, lo smarrimento di tanti. Cosa significa oggi inculturare il Vangelo, cioè tradurlo nelle lingue e nei contesti più diversi? Papa Francesco sottolineava che non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca. Immagino che anche Papa Leone XIV evidenzierà questa disponibilità missionaria della Chiesa. Rispetto all’epoca eroica dei film come Mission le cose sono cambiate radicalmente: più che moltiplicare le parole, si tratta di offrire una testimonianza credibile e dimostrare con lo stile di vita che il Vangelo è una buona notizia, per cui vale la pena prenderlo sul serio.
Faccio riferimento a un libro che mi è piaciuto molto, ‘Il folle di Dio alla fine del mondo’ di Javier Cercas, scrittore spagnolo ateo e anticlericale a cui viene chiesto di accompagnare (è il 2023) come giornalista Papa Francesco in visita in Mongolia. Alla fine dice: “Io ho capito quale è la soluzione per tutti i problemi della Chiesa: tutti missionari”. Papa Francesco l’ha chiamata ‘la Chiesa in uscita’. Credo che Leone si ritroverà spesso a confrontarsi con le periferie del mondo, geografiche ma anche culturali. Si pensi alla Cina, il grande sogno di Papa Francesco, e con la quale la Chiesa non potrà non fare i conti. Oltre a proseguire le grandi aperture carismatiche di Bergoglio, l’altra sfida è quella della sinodalità, per una Chiesa in cui si lavora e si cammina assieme: il Papa ha un ruolo cruciale ma non è ‘il tutto’ della Chiesa. Per consolidare i processi avviati da Francesco, ritengo che Prevost si adopererà per promuovere una Chiesa realmente sinodale, un lavoro collettivo di ascolto reciproco e paziente. E la sua doppia nazionalità, la conoscenza di tanti paesi e la sua vicenda di immigrazioni familiari lo rende un uomo consapevole di cosa significa attraversare i confini. Con lui la Chiesa potrà fare quei passi avanti di cui questo tempo e questo mondo hanno un estremo bisogno.”
Sara Gelli