Saman non fu uccisa per il no alle nozze, ma per quel bacio. “L’autrice materiale? Forse la madre”

Lo scrivono i giudici del tribunale di Reggio Emilia nelle 612 pagine di motivazioni della sentenza. La madre di Saman accompagna la figlia in una carraia e rimane fuori dagli obiettivi per circa un minuto.

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Ad indurre i familiari di Saman Abbas ad ucciderla non è certo che sia stato il rifiuto della giovane a sottostare ad un matrimonio combinato. Lo scrivono i giudici del tribunale di Reggio Emilia nelle 612 pagine di motivazioni della sentenza con cui, per il delitto della 18enne pachistana avvenuto nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 a Novellara, hanno condannato in primo grado all’ergastolo il padre e la madre (latitante) e a 14 anni lo zio, assolvendo invece i due cugini della giovane. Quella del rifiuto a nozze imposte che avrebbe disonorato la famiglia, si legge nelle motivazioni, è “una narrazione corrispondente a quella divulgata sin dall’inizio e a livello mediatico essendosi sempre professato e assumendo il dato come certo”. Ebbene, proseguono però i giudici, “se vi è un dato che l’istruttoria e la dialettica processuale – le uniche deputate a farlo – hanno consentito di chiarire è che Saman non è stata uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato/forzato”.
Si tratta, viene poi puntualizzato, di “un elemento che nulla toglie e nulla aggiunge alla gravità del fatto, ma che corrisponde ad una verità che la Corte è tenuta a rilevare”.
D’altro canto “l’uccisione di una ragazza di 18 anni da parte dei suoi stessi familiari è un evento di una tale drammaticità che non avrebbe richiesto artifizi ulteriori”. Dal punto di vista oggettivo, d’altro canto, “della mancata celebrazione del matrimonio combinato e del disonore connesso a tale circostanza non vi è traccia alcuna neppure nelle numerosissime intercettazioni relative ai giorni e mesi successivi ai fatti”. Infine “i tentativi di dipingere Shabbar Abbas – il padre di Saman – come violento ed autoritario – sono stati tutti smentiti”. In merito ai video dell’ultima notte in vita di Saman, ripresa dalle telecamere di videosorveglianza dell’azienda agricola in cui gli Abbas lavoravano, si ricorda che la madre di Saman accompagna la figlia in una carraia e rimane fuori dagli obiettivi per circa un minuto. Questo, “non consente di escludere sia stata lei l’esecutrice materiale”. Del resto, ha confermato l’autopsia, la morte di Saman è stata causata dalla rottura dell’osso ioide, per cui non è necessario applicare molta forza. I giudici rilevano infine che “il livello di integrazione degli odierni imputati nel contesto sociale e culturale italiano deve reputarsi prossimo allo zero”.

“Nell’opinione della Corte la sciagurata ed estrema soluzione è stata adottata perché ci si trovava di fronte al pericolo di una nuova fuga della ragazza, ossia il rischio da loro più temuto in quanto maggiormente disapprovato”. Lo scrivono i giudici togati di Reggio Emilia Cristina Beretti e Laura Caputo nelle motivazioni alla sentenza di primo grado del processo per l’omicidio di Saman Abbas, emessa il 19 dicembre scorso. Che per i genitori (condannati all’ergastolo) e lo zio della ragazza (14 anni) le fughe continue di Saman fossero la condotta “da loro concepita in termini più gravi e stigmatizzanti” emerge anche dalle dichiarazioni intercettate di Shabbar, padre della ragazza, che quando Saman fuggì per la prima volta in Belgio nel 2020 chiamò a raccolta i familiari imponendogli di giurare sul Corano di non dire niente a nessuno. “Sapevano già tutti, io ho detto di non parlare con nessuno in Pakistan perché quando ti dicono che tua figlia è scappata per noi è una brutta cosa, molto brutta”, si legge nelle intercettazioni. I giudici ritengono inoltre che la decisione dell’omicidio di Saman fu presa la sera stessa della sua esecuzione, in modo quindi estemporaneo, e non fu frutto di un piano preparato in precedenza.

 

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