Consumo di suolo, ogni giorno vengono inghiottiti dal cemento 21 ettari

In Emilia Romagna nel 2022 sono stati “bruciati” 635 ettari di suolo, 44 solo nel modenese. In un territorio, il nostro, tra i più cementificati d’Italia e fragilissimo dal punto di vista idrogeologico, province e città metropolitana hanno sempre giudicato se stesse e continueranno a farlo dal momento che il parere di Arpae è sì necessario ma non vincolante ai fini della realizzazione dei vari piani urbanistici. La falla è dunque a monte e il forsennato consumo di suolo a cui continuiamo ad assistere ne è la prova più evidente.

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La provincia di Modena nel 2022 registra una superficie consumata pari a 29.481 ettari, circa 295 chilometri quadrati, (il dato più alto in regione dopo quello della provincia di Bologna pari a 32.953) ovvero 420 metri ad abitante. L’aumento più consistente di consumo di suolo netto tra il 2021 e il 2022 anno è stato a Piacenza (+129 ettari) seguita da Bologna (118), Parma (92), Reggio (86), Forlì-Cesena (53), Ravenna (52), Modena (44), Rimini (33) e infine Ferrara (27). L’Emilia-Romagna è invece quarta tra le regioni che hanno registrato l’incremento maggiore con +635 ettari, dopo Lombardia (+908), Veneto (+739 ettari) e Puglia (+718). 

La fotografia tracciata dal rapporto annuale del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) sul consumo del suolo nel Paese è tanto drammatica quanto impietosa. Gli ultimi dati mostrano come il consumo di suolo non solo da due anni non rallenti più, ma come nel 2022 abbia accelerato bruscamente e torni a correre a ritmi che, in Italia, non si vedevano da oltre dieci anni. I fenomeni di trasformazione del territorio agricolo e naturale in aree artificiali hanno sfiorato i 2,5 metri quadrati al secondo e riguardato quasi 77 chilometri quadrati in un solo anno, il 10% in più rispetto al 2021. 21 ettari al giorno spazzati via. Un ritmo non sostenibile, che dipende anche dall’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale. I cambiamenti dell’ultimo anno si concentrano perlopiù nella pianura Padana, nella parte lombarda e veneta e lungo la via Emilia, tutta la costa adriatica, in particolare in alcuni tratti del litorale romagnolo, marchigiano e pugliese. “Segno evidente di come gli strumenti normativi attuali non abbiano mostrato l’auspicata efficacia nel governo del consumo di suolo. Ciò rappresenta un grave vulnus per la capacità dell’Italia di adattarsi ai cambiamenti climatici, con nostri sempre più fragili territori che non possono più permettersi questo tasso di artificializzazione del suolo”, spiega Stefano Laporta, presidente dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA). 

Qualcuno ha forse dimenticato l’alluvione che nel maggio scorso ha devastato la Romagna aprendo centinaia di frane sulle fasce collinari e appenniniche? 

In un territorio, il nostro, tra i più cementificati d’Italia e fragilissimo dal punto di vista idrogeologico, una delibera della Giunta regionale datata 7 agosto, in pieno clima vacanziero, ha creato non pochi malintesi. Al centro della delibera il la revisione dei compiti dell’Agenzia Ambientale Regionale (Arpae).

“Nei procedimenti di approvazione dei piani urbanistici comunali e delle loro varianti attivati ai sensi della L.R. n. 24/2017, la previa istruttoria di Arpae ai fini del rilascio del parere motivato di Valsat (ndr – Valutazione della sostenibilità ambientale e territoriale) da parte della Città metropolitana di Bologna e delle Province non è dovuta” si legge nel documento. 

Una decisione che ha provocato numerosi mal di pancia tanto da spingere Forza Italia, Movimento 5 stelle ed Europa Verde a presentare tre diverse interrogazioni per chiedere chiarimenti alla Regione. A delineare la situazione è stata la vicepresidente, con delega al sistema delle Agenzie, Irene Priolo: “le autorità competenti al rilascio del parere Valsat sono sempre le Province e la Città metropolitana mentre Arpae è l’autorità ambientale che deve continuare a rilasciare parere di sostenibilità ambientale. La legge regionale chiarisce che ad Arpae non compete più l’istruttoria. Arpae continua a dare pareri ambientali strategici. Nell’istruttoria, Arpae riceve anche parerei di altre autorità che non sono ambientali e alla fine svolge un lavoro di sintesi. Questa relazione viene data all’autorità competente, che è Provincia, che alla fine redige il parere motivato che si può discostare anche da quello di Arpae”. 

La delibera quindi in realtà non esautora Arpae dalla pronuncia rispetto alle valutazioni ambientali dei vari Piani Urbanistici come ribadisce anche il direttore generale dell’agenzia, Giuseppe Bortone: “il parere di sostenibilità ambientale espresso da Arpae continua a essere obbligatorio – e questo resta un punto fermo – seppur non vincolante, come previsto nella direttive europea e nelle norme nazionali e regionali. La differenza introdotta dalla delibera del 7 agosto, resasi necessaria dopo l’entrata in vigore della nuova legge urbanistica regionale, è che ora le Province o la Città metropolitana possono decidere se avvalersi o meno dell’agenzia, attraverso l’attivazione di una convenzione, per la stesura di una relazione istruttoria anche su tutti gli altri pareri ambientali espressi dai vari enti. Tale relazione istruttoria è finalizzata a consentire alla Città metropolitana e alle Province di esprimere il parere di valutazione ambientale e territoriale strategica”.

In soldoni non cambia pressoché nulla: province e città metropolitana hanno sempre giudicato se stesse e continueranno a farlo dal momento che il parere di Arpae è sì necessario ma non vincolante ai fini della realizzazione dei vari piani urbanistici. La falla è dunque a monte e il forsennato consumo di suolo a cui continuiamo ad assistere ne è la prova.

Jessica Bianchi 

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