Era il 2012 quando entrò in vigore il Mes, Meccanismo Europeo di Stabilità, detto anche Fondo salva Stati, utilizzato per fornire assistenza finanziaria a Paesi come la Grecia al fine di contrastare gli effetti economici della crisi del 2008. Oltre alla Grecia, erano da salvare quegli istituti di credito, perlopiù francesi e tedeschi, che avevano acquistato titoli di stato greci ad altissima resa sottovalutando i problemi di solvibilità.
Nel caso della Grecia fu così e quando le banche si resero conto che avrebbero perso il capitale investito in quei titoli si fece ricorso a questo nuovo strumento, il Mes per ottenere un “rimborso”. Il problema è che il Mes gestisce le risorse degli Stati membri ma, e questo non si puntualizza mai, è un’istituzione intergovernativa che non è sottoposta alla legislazione dell’Unione europea: ha una sua sede in Lussemburgo e ha un proprio board a cui è affidata la gestione dei fondi raccolti dagli Stati che hanno sottoscritto questo tipo di strumento partorito dalla burocrazia e, sulla base delle necessità e dello Statuto, li erogano.
Una delle novità principali della riforma approvata dal Governo Conte II prevedeva che il Mes potesse sostenere il Fondo di Risoluzione Unico per le banche, un paracadute per salvare gli istituti di credito dei singoli Paesi sottoscrittori per circoscrivere i problemi economici ed evitare crisi di sistema: una necessità che si evidenzia nelle banche tedesche, sia la Commerzbank sia Deutsche Bank, oggi in difficoltà in un contesto, come quello tedesco, di recessione molto più importante rispetto ad altri Paesi europei. Oggi il malato d’Europa è la Germania.
Per questo motivo non può non venire il sospetto che la pressione nei confronti dell’Italia e l’insistenza con cui ci viene chiesto di ratificare il Mes serva per poi utilizzare quelle risorse per intervenire e salvare le banche dei “soliti”. A maggior ragione considerando che c’è un altro strumento di cui ci potremmo avvalerci senza dover per forza sottoscrivere il Mes: era il 2014 quando Mario Draghi, allora a capo della Bce, mise a punto il nuovo strumento del quantitative easing o prestatore di ultima istanza consentendo che la Banca centrale europea si impegnasse ad acquistare titoli di Stato in quantità illimitate in modo da rassicurare i mercati della presenza di un acquirente per il debito detenuto in portafoglio. L’annuncio di Draghi ebbe l’effetto di disinnescare la speculazione e di diminuire lo spread tra titoli degli stati membri. Nel 2014 non fu usato il Mes ma il quantitative easing di Draghi. Oggi se entrasse in crisi il sistema bancario di uno Stato europeo lo si potrebbe salvare facendo deficit ed evitando il fallimento delle banche; l’extra debito dello Stato potrebbe essere garantito con il quantitative easing.
Perché dunque non riattivarlo? Perché l’Italia dovrebbe prendere in considerazione uno strumento come il Mes, legato a tutta una serie di riforme previste per il Paese che beneficia dell’erogazione? Con il Mes è come se uno ci venisse in casa, aprisse i cassetti e decidesse cosa spendere per mettere a posto i conti. Perché dobbiamo per forza dotarci di strumenti che si insinuano nel nostro Paese se qualcosa va storto?
Ed è una sciocchezza pensare che la firma non comporti conseguenze: una volta sottoscritto, se si dovesse presentare una situazione di crisi finanziaria, è automatica la sua attivazione.
Infine è davvero demenziale che, mentre altre banche centrali soprattutto quelle orientali hanno smesso di alzare i tassi di interesse e il costo del denaro, la Banca centrale europea pensi di curare un’inflazione importata legata ai costi delle materie prime aumentando i tassi di interesse, la scelta che rende più complicato qualsiasi investimento produttivo per le imprese e qualsiasi tipo di investimento di un privato cittadino: tramite i mutui fatti a tasso variabile stanno ‘dragando’ liquidità, impoverendo le nostre tasche e distruggendo quindi la domanda di beni e servizi facendo andare in recessione il blocco monetario interessato da questi aumenti di tassi di interesse.
A maggior ragione è demenziale perché non si considera il mercato globale: saremo obbligati sempre di più, a causa degli alti prezzi e delle minori capacità di reddito, a comprare beni dai blocchi monetari (come la Cina) che hanno deciso (ieri) di non rialzare i tassi.
In questo contesto difficilissimo che comprende anche la guerra e il post pandemia, la transizione ecologica diventa una forzatura per il nostro sistema economico perché non si tratta di un passaggio graduale ma di un’accelerazione verso un mondo più green in cui dovremo essere dotati di tecnologie che oggi non produciamo e di materie prime che non abbiamo: non solo gas e petrolio (che sono abbastanza diffusi), ma titanio, cobalto e terre rare che posseggono pochi Paesi e che venderanno a prezzi sempre più alti, tali da innescare una quantità di inflazione che non si potrà certo abbattere con l’aumento dei tassi.
E’ un corto circuito: da cittadino e imprenditore mi chiedo cosa stanno facendo e, se stanno disintegrando il sistema produttivo e di reddito europeo, possibile che non ci sia nessuno nell’Eurozona in grado di ammettere che stiamo facendo un errore?
PAP20