“Che senso ha costruire una casa salda in un panorama di frane?”

Sul migliaio di frane innescatesi in Romagna interviene Paride Antolini, presidente dell’Ordine Geologi dell’Emilia Romagna. E sulle mancata cura del territorio è lapidario: “il pubblico ha le sue colpe perchè in questi anni ha dormito ma il privato deve assumersi le proprie: ambedue sono colpevoli di una non sempre corretta gestione del territorio. Io non assolvo nessuno, categorie professionali incluse. In questi anni tutti avremmo dovuto essere maggiormente vigili e attenti”.

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Un migliaio. E’ questo il numero, perlomeno quello ufficiale e registrato sul sito della Regione Emilia Romagna, delle frane provocate dalla straordinaria ondata di maltempo che si è abbattuta sulla Romagna ma in realtà spiega Paride Antolini, presidente dell’Ordine Geologi dell’Emilia Romagna, “sono molte di più. Ve ne sono di certo altre che non sono state censite perché non ancora individuate e altre che non lo saranno mai poiché innescatesi in zone particolarmente impervie e dunque lontane da strade e centri abitati”. Per Antolini, il disastro in termini di dissesto che si è creato, esige risposte “celeri, perché è in estate che occorre approntare i lavori e far fronte all’emergenza poiché con l’arrivo dell’autunno e delle piogge non sarà più possibile farlo. Le decisioni devono essere prese ora. Non c’è tempo da perdere. E’ inaccettabile che non sia ancora stato individuato un commissario per la ricostruzione e si vada tanto a rilento. Io sono molto preoccupato: ci sono collegamenti stradali distrutti, gente di montagna, spesso di una certa età, fuori casa, che deve confrontarsi con spese potenzialmente enormi e alle prese col più grande dei dilemmi, ovvero se restare o andarsene. Serve il coraggio, a livello istituzionale, di dire se alcune situazioni sono recuperabili o se il loro ripristino è troppo costoso. Sono tanti i lavori da fare prima di settembre e il rischio è che nel frattempo, quando splende il sole e si va tutti in vacanza, la Romagna passi in secondo piano e si cominci a dimenticare quanto accaduto”.

Dottor Antolini, quali sono le cause che concorrono maggiormente alla formazione di movimenti franosi? E quanto incide la mano dell’uomo?

“Le frane si innescano sempre per la presenza di acqua ecco perchè in montagna per prevenire i movimenti franosi si devono fare fossi che regimano le acque, nelle aree agricole così come nelle stradine di campagna. Allontanare le acque dai versanti è la prima azione da compiere ma queste operazioni, soprattuto in ambito agricolo, negli ultimi anni sono state decisamente trascurate. 

Inoltre, per impiantare un frutteto o una vigna in collina o in montagna, ad esempio, si scava in profondità per creare un terreno idoneo alla piantumazione ma è chiaro che, attività di questo tipo, eseguite su un pendio, predispongono alle frane. Non dimentichiamo poi che il nostro Appennino è giovane: da una parte vi sono i terremoti che tendono a innalzarlo, a creare rilievi naturali e dall’altro vi sono agenti atmosferici, come le erosioni e le stesse frane, che tendono a demolirlo. Le frane rientrano tra gli elementi di un processo naturale che però, alle volte, è facilitato dall’uomo. Ogni cosa che l’uomo costruisce comporta infatti un disequilibrio: questo non significa che non si debba realizzare alcunché in montagna ma occorre farlo con metodo scientifico e consci dei rischi a cui si può andare incontro. Se alla fragilità intrinseca del nostro Appennino aggiungiamo il fatto che la quantità di pioggia caduta in Romagna, in modo così diffuso, è stata del tutto eccezionale, allora il disastro è assicurato, d’altronde basta molto meno per farci andare in emergenza”.

Le frane si possono arrestare?

“Dipende, tra le discriminanti vi è certamente la loro dimensione, ma esistono interventi tesi a stabilizzarle. Alcune invece sono talmente grandi che possono solo essere rallentate, mitigate. In Emilia ad esempio, sull’Appennino, ci sono grosse frane che in passato si muovevano di qualche decimetro all’anno e ora, dopo vari interventi, di qualche centimetro: in questo modo il paese e le strade che vi sorgono sopra riescono a coesistere perché il movimento è molto lento. Diciamo che si interviene quando un movimento franoso investe un campo agricolo o qualora minacci delle abitazioni o la rete viaria; se si innesca in mezzo a un monte senza arrecare danni, non si fa nulla”.

Il nostro è un paese fragile dal punto di vista idrogeologico e la nostra regione non fa certo eccezione. Scontiamo errori dal passato?

“Certo, sarebbe servita una maggiore attenzione al territorio, a partire dalla cura dei fossi in montagna, per cercare di portare via l’acqua. Purtroppo nel nostro Paese quando non succede nulla, si tende a sottovalutare i rischi, a dimenticarsene. Se una strada a mezzacosta su una scarpata ha qualche problemino, spesso non si interviene, si rimanda… fino a quando la strada va giù. In campagna fare i fossi e manutenerli costa, comporta tempo e allora anche in quel caso fino a quando va tutto bene, si fa finta di nulla e non si agisce”.

Oltre a correre ai ripari di fronte alle emergenze, cosa dovrebbero fare le istituzioni per cercare sistematicamente di tenere in sicurezza le zone pre appenniniche e appenniniche attraverso una manutenzione costante?

“Le faccio un esempio a mio parere emblematico: nel cesenate, dove è stato approntato un regolamento per la gestione e la cura dei terreni agricoli in montagna, la sua applicazione ha sempre incontrato enormi resistenze e difficoltà. Laddove venivano riscontrate delle mancanze si aprivano infatti contenziosi su contenziosi tra pubblico e privato. E, ancora, quando si annuncia di voler realizzare delle casse di espansione, arrivano le associazioni o i comitati a protestare…

Insomma il pubblico ha le sue colpe perchè in questi anni ha dormito ma il privato deve assumersi le proprie: ambedue sono colpevoli di una non sempre corretta gestione del territorio. Io non assolvo nessuno, categorie professionali incluse. In questi anni tutti avremmo dovuto essere maggiormente vigili e attenti”.

E’ troppo tardi o qualcosa si può ancora fare per evitare lo spopolamento dei piccoli borghi montani?

“Ci sono singole abitazioni rimaste completamente isolate a causa del crollo delle strade per il cui ripristino occorrerebbe una quantità insostenibile di denaro. In caso di frazioni e borghi invece uno sforzo deve essere compiuto magari trovando delle alternative per variare la viabilità. La tecnologia corre in nostro aiuto ma ad oggi non abbiamo ancora idea di quanto costerà rimettere in sicurezza la Romagna. Non vorrei che tra dieci anni fossimo ancora qui a discutere dei fondi da destinare… Ciò che è accaduto è molto peggio di un terremoto: a fronte di una casa crollata quantificare il danno è semplice, con le frane non funziona così. A breve capiremo cosa dobbiamo fare per l’emergenza poi però sul piatto c’è tutto il resto. La  ricostruzione durerà anni”. 

C’è una Regione a cui guarda con ammirazione in fatto di gestione del territorio?

“Non ne salvo nessuna, nemmeno Trentino e Val d’Aosta: noi edifichiamo le nostre colline di argilla ma loro stanno aggredendo le vette più alte con impianti sciistici e costruzioni in calcestruzzo”.

Costruire una casa in montagna comporta dei rischi…

“Oggi la tecnologia consente di edificare una casa salda, ma una volta impiantata occorre spendere denaro per consolidare il contesto e purtroppo questo non sempre avviene. E allora mi domando che senso ha investire in una casa di per sé sicura ma issata su un terreno in movimento? Che senso ha una casa salda in un panorama di frane? L’uomo fa bene a ricordare ciò che può accadere. I rischi”.

Tanti hanno abbandonato la montagna nel corso del tempo, questo è un bene dal punto di vista ambientale?

“L’abbandono delle montagne e la dismissione di tante aree coltivate ha favorito lo sviluppo dei boschi. La mancata cura dei terreni agricoli comporta alcune criticità nelle fasi iniziali ma poi la natura si riprende il suo spazio e questo è assolutamente positivo. Il bosco trattiene le acque così come i cespugli in prossimità dei fossi… tutta quell’acqua trattenuta infatti evita di scendere a valle creando i problemi che oggi sono sotto agli occhi di tutti”.

Jessica Bianchi 

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