Agende chiuse o attese di mesi per riuscire a strappare un appuntamento per una visita specialistica. La sanità pubblica è sempre più distante dai bisogni della cittadinanza. Nonostante siano lontani i giorni in cui gli ospedali erano in affanno a causa dell’onda d’urto del Covid e il recupero delle liste d’attesa sia stato in larga parte completato siamo ben lungi dall’obiettivo dichiarato dalla Regione Emilia Romagna, ovvero ritornare entro il 2023 ai valori di performance pre-pandemici per le prestazioni differibili o programmabili. Le criticità per accedere alle prestazioni sanitarie di specialistica ambulatoriale permangono creando inevitabili disagi tra i cittadini, spesso costretti a rivolgersi al privato o al privato-accreditato pur di ottenere l’appuntamento di cui hanno bisogno in tempi ragionevoli. Nel libro nero, in tutta la regione, finiscono Dermatologia, Oculistica, Cardiologia, Ginecologia e, alle volte, Urologia: per queste specializzazioni occorre mettersi il cuore in pace e, soprattutto, per chi può economicamente permetterselo, una mano al portafoglio. Basta aprire il proprio fascicolo sanitario elettronico per constatare che in realtà gli appuntamenti ci sono eccome, e pure a stretto giro, ma solo in regime di libera professione, ovvero pagando.
La libera professione intramuraria chiamata anche intramoenia si riferisce alle prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, i quali utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche della struttura a fronte però del pagamento da parte del paziente di una tariffa. Insomma: stessi professionisti, stesso ospedale. Un diritto garantito loro dal contratto nazionale e su cui le aziende sanitarie non possono mettere becco, ad esempio chiedendo loro una maggiore disponibilità per ampliare la fascia oraria dedicata alla specialistica ambulatoriale e poter così calendarizzare un maggior numero di appuntamenti. Insomma qualcosa non torna come sottolinea anche Anna Baldini di Cittadinanzattiva: “per una prima visita un cittadino ha dovuto aspettare ben 72 mesi. Il problema è che spesso non c’è modo di prenotare poiché essendo chiuse le agende non ci sono date disponibili. E’ questo lo scoglio maggiore col quale le persone si scontrano. Quando si prenota, anche se l’attesa è lunga, si ha perlomeno una prospettiva ma, quando le agende sono chiuse, si cozza contro a un muro e le persone sono in seria difficoltà perché non sanno per quanto tempo dovranno attendere prima di essere visitati e questo purtroppo accade spesso”.
E nel caso di visite o interventi urgenti?
“Abbiamo avuto a che fare con persone a cui erano stati fissati appuntamenti dopo sei mesi o un anno malgrado i loro fossero definiti interventi urgenti. Cittadini che, se al regime pubblico avessero preferito l’intramoenia, nel giro di una settimana sarebbero stati operati nella stessa struttura pubblica e dal medesimo professionista… Parliamo di persone con tumori alla prostata, alla mammella, all’utero… segnalazioni che sono arrivate nei nostri sportelli e che abbiamo verificato di persona. Non è possibile che un intervento in regime pubblico sia dopo un anno e in libera professione intramuraria dopo una settimana con lo stesso specialista o chirurgo. Se c’è posto, allora deve esserci a prescindere”.
Quali le aziende sanitarie in cui si registrano le maggiori criticità?
“La situazione in Regione è decisamente omogenea: vi sono prestazioni che sono perennemente in deficit e dunque vengono erogate con grande ritardo, altre che a volte migliorano in una Ausl per peggiorare in altre”.
Sul sito Tempi di attesa Emilia-Romagna (TdaER) è possibile consultare le tabelle che riportano la percentuale di visite ed esami erogati entro i tempi standard, aggiornati ogni settimana, sia a livello regionale sia per ogni ambito territoriale dell’Emilia-Romagna. La fotografia che ne emerge non ha tinte tanto fosche…
“Il sito monitora le prestazioni prenotate e il tempo in cui effettivamente vengono erogate e in questo la nostra Regione ha un buon livello di risposta. Il problema è che la fascia precedente la prenotazione non viene intercettata: ciò che non viene prenotato non viene monitorato. Impossibile dunque stimare la fetta di persone che non riesce a prenotare una visita e dunque è costretta a trovare soluzioni alternative sempre che abbia le possibilità economiche per farlo”.
Ora che il pregresso legato al Covid è stato pressoché colmato il problema è riconducibile a una programmazione poco efficiente?
“Durante la pandemia tutte le prestazioni, eccezion fatta per quelle urgenti, sono state bloccate. Quando l’attività è stata ripresa si è pensato al recupero del pregresso facendo un enorme sforzo senza però pensare di adottare tempi, modalità e organizzazione differenti per far fronte anche alle nuove richieste. Se, ad esempio, si fosse fatto ricorso alle strutture private, probabilmente non si sarebbe arrivati a questo ingorgo. Ascoltare le associazioni che si occupano di tutela dei cittadini in campo sanitario potrebbe essere utile: tante segnalazioni restano negli Urp delle varie aziende e non arrivano a coloro che si occupano di programmazione. Analizzare i problemi però è funzionale alla costruzione di una programmazione efficace ed efficiente”.
Nei primi tre mesi del 2023, spiega l’assessore regionale alla Sanità, Raffaele Donini, “sono state oltre 100mila le richieste di visite specialistiche in più rispetto all’anno precedente e questo ci obbliga ad attrezzarci nuovamente, cercando di ottimizzare la nostra produzione e rimodulando l’accordo col privato accreditato. La nostra regione ha numeri superiori alla media nazionale per quanto riguarda le visite specialistiche e gli esami diagnostici come Tac, risonanze ed ecografie… ci stiamo riorganizzando per far fronte a questa ondata di richieste, probabilmente un riflesso della pandemia”.
Chiara Tassi e Jessica Bianchi