19 autori per 21 progetti, per un totale di 350 immagini: questi i numeri di FotoCarpi23, la mostra promossa dal 27 maggio all’11 giugno in Sala Cervi a Palazzo Pio, dal Gruppo Fotografico Grandangolo.
Una vera e propria immersione nella fotografia, i cui scatti esploreranno, per questa 26° edizione del progetto, il tema dei Confini. L’inaugurazione si svolgerà il 27 maggio, alle 17, mentre la mostra sarà visitabile giovedì dalle 10.30 alle 12.30, sabato e domenica dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 18 e venerdì 2 giugno negli stessi orari. La mostra è l’esito di un percorso condotto nel corso dell’intero anno, il risultato di una ricerca, sia collettivo, del Gruppo Grandangolo nel suo complesso, che personale, dei singoli autori dei progetti, indirizzati dai coordinatori Gabriele Bartoli, Renza Grossi, Stefania Lasagni e Massimo Mazzoli, i quali hanno offerto il proprio vitale contributo per un’opportuna messa a fuoco dei temi e delle modalità scelti dai veri fotografi. Nei 21 progetti – realizzati da Claudio Montali, Danilo Baraldi, Gabriella Ascari e Monica Manghi, Gianni Pavarotti, Giuseppe Lauria, Luca Cavazzuti, Luca Malavasi, Luciana Poltronieri, Massimo Plessi, Maurizio Bergianti, Maurizio Ligabue, Paolo Castiglioni, Raffaella Rota, Renza Grossi, Roberta Quartieri e Rosaria Valentini – il pubblico potrà apprezzare una proposta multiforme e complessa, dove lavori di tipo più classicamente documentario si affiancano a opere che scaturiscono da un impulso personale, a progetti che partono dalla realtà oggettiva per aprire orizzonti onirici, sino a opere capaci di innescare una profonda riflessione sul concetto di confine. Il mondo contemporaneo, reduce da una pandemia globale e afflitto da una guerra (tra le tante) entrata nell’agghiacciante territorio della normalizzazione, si presta in maniera paradossalmente impeccabile allo sviluppo di un concetto come quello di confini: oltre alle numerose accezioni che il significato della parola suggerisce, è anche il periodo storico che stiamo vivendo a fornire uno spunto supplementare per scandagliare il senso di confini in tutte le sue forme e colori.
I confini possono infatti essere intesi come limiti fisici di territori, regioni geografiche, stati, zone di transizione in cui scompaiono le caratteristiche individuanti e iniziano quelle differenzianti; possono essere naturali o artificiali; o ancora indicare un limite astratto: tra la vita e la morte, i confini della scienza. I confini possono essere spaziali e temporali, metaforici e legati alla sfera politica e religiosa. Il confine è, anche, la divaricazione primordiale tra Cielo e Terra a partire dal Caos originario. Il limite è quindi l’elemento che dà ordine al mondo ma anche lo strumento che l’essere umano si è dato per addomesticare la propria paura: l’infinito che da sempre attrae e atterrisce per la sua immensità. I confini possono essere negativi, se percepiti come insuperabili, o positivi, se intesi come meta da raggiungere: il confine sembra esistere solo per essere valicato. I confini sono una linea di demarcazione che disgiunge ma, contemporaneamente, un punto di contatto tra culture, possibilità, opportunità. Fissare un confine significa, infatti, anche riconoscere una differenza, consacrare l’esistenza di un’alterità attraverso la regolamentazione del rapporto con essa. Nell’etimologia latina del confine questa accezione è evocata da limen/limes: limite, frontiera, ma anche soglia, ingresso. Il confine porta dunque in sé l’idea del limite e della differenza, dell’alterità e del passaggio come tramite tra dentro e fuori, noto e ignoto. Non una porta serrata, ma un varco da attraversare con una buona guida.