L’imprenditore carpigiano Stefano Bonacini è stato il protagonista dell’ultima puntata di Pensa in grande, la trasmissione televisiva che compie un viaggio tra le imprese italiane che hanno lasciato il segno nella storia del nostro Paese. Vicende semplici e straordinarie di persone comuni che hanno realizzato i propri sogni. Racconti emozionanti di chi dal nulla, con impegno e determinazione, ha saputo realizzare qualcosa di irripetibile. E tra chi ha saputo pensare in grande c’è anche Stefano Bonacini, “cresciuto in una famiglia semplice e dignitosa dove non è mai mancato nulla tranne il superfluo”. Un “sognatore, un visionario” per il quale la “partita non finisce mai”.
E sullo schermo seguiamo la “storia di un ragazzo il cui destino si intreccia con quello della sua città, Carpi” dove dal nulla ha costruito un impero. Cresciuto con due genitori che gli hanno trasmesso una forte “cultura del lavoro”, Bonacini dopo il servizio militare inizia a fare l’agente di vendita per una piccola azienda di abbigliamento. Intorno la città fioriva. Erano gli Anni Ottanta, gli anni in cui tutto poteva diventare possibile. “A tutti veniva data una chance”, spiega l’imprenditore. “Carpi era una città viva, con furgoni che giravano, lavoranti… Tutti erano impegnati a fare, a impegnarsi… avevo 22 anni e stavo scoprendo un mondo diverso”. A 23 anni, insieme all’amico e socio Roberto Marani, Stefano Bonacini decide di fare il “salto”. Di mettersi in proprio. E lo fa con lo spirito imparato tra le mura domestiche, “animato dal senso del dovere e con poche balle. Senza abbattersi mai”. Il resto è storia perchè ormai il nome di Gaudì ha “scavalcato i confini italiani e lasciato un segno nel calcio e nel mondo dell’edilizia”. Un successo arrivato grazie al coraggio e all’intraprendenza. Bonacini ha osato, ha scommesso, tra i primi, “sulla forza del nome”, del marchio, per far fronte all’avanzata cinese nel tessile. Ha puntato sul calcio mettendo il proprio logo sulle maglie della Serie A e poi, in quel mondo, ha deciso di muoversi da protagonista, portando la squadra di casa, il Carpi, dall’eccellenza alla massima serie in sei anni. Un’ascesa incredibile. “Un’apoteosi” racconta. E ora, i “suoi” calciatori sono diventati figurine di un album Panini, “custodito gelosamente insieme alla mia collezione di Diabolik”. E insieme ai successi, Bonacini rievoca anche uno dei momenti più bui della sua vita, il Covid, contratto nel marzo 2020. Quando il virus faceva più paura che mai, “quando arrivavano sono notizie terribili dai telegiornali” ricorda la figlia Giada.
“Un ricordo che mi porterò dentro per sempre. Le ambulanze non venivano, nessuno rispondeva… con la febbre a più di 39 ho guidato da solo, in macchina, fino al Policlinico e da lì ho chiamato il Reparto di malattie infettive. Mi hanno ricoverato in terapia pre intensiva con un polmone quasi andato. Ricordo che una notte un’infermiera piangeva e quando mi si avvicinò chiedendomi come stessi, le dissi Come un passerotto in bocca a un dobermann… e lei si mise a ridere. Mai cedere allo sconforto, mai piangersi addosso”.
Ed eccola la pasta di cui è fatto quest’uomo. Un uomo concreto, energico, che ama la città in cui è nato e dove ha mosso i suoi primi passi.
“Mio nonno diceva: il 90 percento è fortuna e il 10 percento di chi sbaglia meno. Mai sentirsi un fenomeno perchè domani si potrebbe cadere. Siamo legati a un filo, c’è sempre qualcuno che si alza prima di te”.
Jessica Bianchi