È lo stabilimento produttivo di Chimar, la sede in cui si svolge la presentazione del Bilancio di Sostenibilità: una scelta voluta dal Presidente Giovanni Arletti perché “è qui che si incontrano le persone che lavorano ed è qui che voglio realizzare il mio sogno di rendere l’attività lavorativa più umana”. A delineare il nuovo modello di sviluppo sostenibile per l’impresa è il professor Stefano Zamagni economista italiano e docente di Economia Politica all’Università di Bologna, tra i “padri” dell’economia civile e ospite d’onore, giovedì 20 aprile, all’evento corporate di Chimar, azienda specializzata nella produzione di imballaggi in legno e cartone e nella fornitura di servizi logistici aggregati.
Nel suo intervento chiarisce l’origine dell’idea di sostenibilità coniata dal tedesco von Carlowitz nel 1793 per contrastare la pratica dello sfruttamento intensivo del legname ricavato dalla foresta e poi completamente rimossa agli inizi dell’800 per lasciare il campo alla rivoluzione industriale che portò con sé l’introduzione delle macchine, l’accumulazione del capitale e l’idea che la crescita da sé avrebbe fatto giustizia del degrado ambientale. “Crescita e sviluppo però – sottolinea il professor Zamagni – non sono la stessa cosa: per sopravvivere basta crescere ma lo sviluppo è proprietà esclusiva dell’essere umano perché si lega al concetto di libertà”. Occorrerà aspettare il 1967 e la Populorum Progressio di Papa Paolo VI per ritrovare, a distanza di quasi due secoli, i principi ispiratori della sostenibilità nello ‘sviluppo umano integrale’ citato dall’enciclica che è l’approccio che meglio consente di perseguire l’obiettivo della sostenibilità che è, in sostanza, la possibilità di durare nel tempo sia per la vita umana, sia per le imprese. L’ottimizzazione delle risorse, che in concreto si traduce nell’eliminazione degli sprechi, nel riuso e nell’economia circolare, non è risolutiva perché concepisce l’ambiente come un vincolo. Lo sviluppo umano integrale ripreso da Papa Francesco nella Laudato si’ parte invece dall’idea di un’alleanza tra natura e società, tra natura e cultura che si concretizza nel mutamento degli stili di vita e di mentalità in una logica di armonia. “L’ambiente è un bene comune – insiste Zamagni – e, a differenza dei beni pubblici la cui gestione e produzione è affidata allo Stato e a differenza dei beni privati la cui gestione e produzione è affidata al mercato, richiede un modello di gestione comunitario. È da questa prospettiva che Zamagni guarda alla ripartenza del Paese in modo “moderatamente ottimista”, superando il modello bipolare Stato-mercato e introducendo un terzo attore: la comunità.
Falliti i ‘vecchi’ modelli dominanti in passato, a partire dal taylorismo che annulla la dignità di chi lavora, non più al passo coi tempi la conoscenza codificata da libri, protocolli e istruzioni, il lavoro umano nell’epoca robotica fa affidamento sulla conoscenza tacita che appartiene a ciascuno di noi e genera capacità d’innovazione e creatività. Chi ha responsabilità d’impresa ha la responsabilità di mobilitare la conoscenza che è in ciascuno, “anche all’ultimo arrivato può venire un’idea geniale”, in un clima di reciproca fiducia.
La società, per il professor Zamagni che non risparmia una stoccata a Confindustria, ha bisogno di imprese che intraprendano la via della trasformazione finalizzata al bene comune inteso come la possibilità di perseguire il proprio interesse consentendo agli altri di perseguire il loro, “dare senza perdere, prendere senza togliere”.
Sara Gelli