“Carpi è la mia casa. Qui ho trascorso 33 anni della mia vita professionale, ho conosciuto mia moglie, sono nati i miei figli. Sento di appartenere a questa comunità”. A parlare è il dottor Fabrizio Artioli che, a settant’anni, ha raggiunto il traguardo del pensionamento e ha lasciato la direzione della Medicina oncologica dell’Area Nord. Ma per il dottor Artioli non è ancora giunto il momento di appendere il camice al chiodo poiché, spiega, “il mio lavoro continua ad appassionarmi enormemente e non posso rinunciare al contatto col paziente, relazione che ho sempre considerato centrale nella mia professione di medico. Mi sono chiesto se fossi pronto a disperdere l’esperienza e la conoscenza accumulate in anni di lavoro, studio e aggiornamenti e la riposta è stata no. E così ho deciso di rimettermi in gioco”.
Dopo aver ricevuto alcune offerte, Fabrizio Artioli ha deciso di accettare l’incarico presso il Day Hospital Oncologico dell’Ospedale di Suzzara, “una scelta che mi consente di restare vicino a casa, ai miei cari”.
Il Senato ha approvato un emendamento che permette ai medici di famiglia e ai pediatri di libera scelta di andare in pensione a 72 anni anziché a 70, opzione non estesa però ai medici ospedalieri: “se la legge lo avesse consentito, sarei rimasto volentieri a lavorare per l’Ausl di Modena ma purtroppo non è stato possibile. Mi sarebbe piaciuto poter continuare a svolgere il mio compito all’Ospedale di Carpi soprattutto in un momento come quello attuale, connotato da una grave carenza di medici, ospedalieri e di Medicina generale. Ci vorranno anni prima che questa lacuna del nostro sistema sanitario nazionale, dovuta a una programmazione scarsamente lungimirante, possa essere colmata. Nel frattempo credo sia di fondamentale importanza investire risorse sulla medicina territoriale affinché gli ospedali possano essere alleggeriti dei casi non urgenti e trattare così solo le acuzie”.
Del Ramazzini, sorride Fabrizio Artioli, “mi mancheranno molte cose, di alcune ho già nostalgia, a partire dai volti dei miei pazienti, alcuni dei quali sono diventati parte della mia famiglia. E poi gli operatori, i professionisti con cui ho lavorato per anni, gomito a gomito. Persone straordinarie e in gamba che danno il massimo pur dovendo confrontarsi con importanti carenze strutturali. Il nostro ospedale è vetusto ma porta avanti progetti innovativi. E’ un’eccellenza che dobbiamo difendere e salvaguardare. Come coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico del CIPOMO, il Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri, ho avuto modo di entrare in contatto con numerose realtà del territorio nazionale e noi non abbiamo davvero nulla da invidiare a nessuno”. In questi lunghi anni di lavoro trascorso al Ramazzini uno dei ricordi più forti e intensi è certamente quello legato al sisma del 2012: “il terremoto è stata un’esperienza devastante, drammatica ma, allo stesso tempo, ci ha fatti sentire una squadra, unendoci ancora di più. Abbiamo continuato a mettere i pazienti al centro, a fare il nostro dovere per curarli nel migliore dei modi e in sole 24 ore, grazie all’impegno della direzione sanitaria e generale, siamo riusciti a riprendere le visite sotto alle tende della Protezione Civile. Dopo alcuni acquazzoni avevamo l’acqua alle caviglie ma nessuno di noi, tantomeno i pazienti, si è mai lamentato. Eravamo tutti dalla stessa parte, è stata una grande esperienza di vita. Per tutti”.
Il nome di questo stimato professionista sta ora riecheggiando negli ambienti politici cittadini in vista delle prossime Amministrative ma il dottor Artioli è lapidario: “sono convinto che non si possa fare bene il mio lavoro e al contempo pensare di fare altrettanto in politica. Dunque tra la professione e la politica io ho scelto la prima. Io sono un medico e pertanto escludo una mia eventuale discesa in campo”.
Un altro progetto è invece nelle corde del dottor Fabrizio Artioli e fa rima con divulgazione scientifica: “insieme ad alcuni amici ho intenzione di iniziare a organizzare qualche momento di carattere culturale e scientifico rivolto alla cittadinanza. La scienza non deve restare chiusa nei laboratori, al contrario dev’essere spiegata, condivisa. Stare tra la gente e aprirsi al mondo. Solo così le persone possono acquisire, anche in campo medico, maggiore consapevolezza e si sa, la conoscenza aiuta a vincere le paure, ad abbattere i pregiudizi anche per quanto riguarda l’oncologia. Negli anni la ricerca in campo oncologico ha fatto passi da gigante: ad oggi sono 1.700 i farmaci in sperimentazione, il futuro che ci attende è a dir poco appassionante. Ogni anno si guadagna il 3% in più di guarigioni nel nostro Paese. E poi diciamolo, la scienza è affascinante e può accendere passioni e interessi, soprattutto nei più giovani. Ecco questo è un ambito nel quale mi impegnerò, la politica invece la lascio ad altri”.
Jessica Bianchi