Uno studio particolarmente innovativo, quello condotto dai ricercatori dei Dipartimenti di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze e di Ingegneria Enzo Ferrari, che hanno pubblicato la prima analisi dose-risposta condotta sull’associazione tra fattori climatico-meteorologici ed evoluzione del Covid-19 nella prima ondata e seconda ondata del 2020 sull’intero territorio italiano, tenendo conto di fattori quali mobilità e caratteristiche demografiche dei diversi contesti provinciali. Lo studio rappresenta un esempio di strettissima integrazione di dati meteorologici ed epidemiologici, tesi a verificare se le modificazioni climatiche sono realmente in grado di influenzare, favorendo o antagonizzando, la diffusione di una infezione respiratoria quale quella dovuta al SARS-CoV-2 nonché l’effettiva gravità della patologia da esso indotta, il Covid-19.
Lo studio, dal titolo The influence of meteorological factors on COVID-19 spread in Italy during the first and second wave è stato pubblicato su Environmental Research, prestigiosa rivista nei settori della Sanità Pubblica e Medicina Ambientale. Gli autori hanno preso in esame l’andamento orario di temperature, umidità e radiazione ultravioletta nell’intero territorio nazionale nel 2020, comparandolo all’andamento delle infezioni, dei ricoveri e dei decessi per Covid-19 in ciascun giorno e provincia del territorio nazionale. I dati meteorologici sono stati ottenuti utilizzando i dati ERA5 del Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Termine, avente le proprie sedi a Bologna, Bonn e Reading in Gran Bretagna. Da questi dati, i ricercatori Unimore hanno estratto per questa indagine le stime meteorologiche orarie relative alle variabili di temperatura, umidità e radiazione UV, producendo medie giornaliere ‘pesate’ per la popolazione residente nelle diverse province italiane.
Mediante l’uso di un modello di analisi flessibile cosiddetto ‘non-lineare’, gli autori hanno quindi potuto evidenziare come l’umidità esterna non abbia avuto nessuna sostanziale influenza su diffusione e severità clinica del Covid-19 nel nostro Paese, mentre una radiazione UV eccedente i 40 kJ/m2 abbia evidenziato un’associazione inversa (‘inibitoria’) col Covid-19, specie nel corso della seconda ondata. I risultati più interessanti, tuttavia, sono emersi per quanto riguarda la temperatura all’aperto, la quale ha evidenziato una suggestiva capacità di ridurre la diffusione e la severità dell’epidemia sopra i 10 °C, e allo stesso tempo un’indicazione di analoga capacità inibitoria per temperature sensibilmente inferiori.
Tale andamento bifasico (cioè un effetto di contrasto alla diffusione dell’epidemia sia ad alte che a basse temperature), e l’indicazione relativa a effetti benefici di una elevata intensità dell’esposizione a raggi ultravioletti, suggeriscono come esista una ‘finestra climatica’ ottimale che può facilitare, a parità di altri fattori, la diffusione o al contrario la prevenzione dell’epidemia Covid-19 a prescindere dalle altre misure di prevenzione adottate (quali il lockdown o le vaccinazioni). Tali osservazioni comportano evidenti implicazioni di sanità pubblica anche nel caso di future, possibili epidemie da virus respiratori con caratteristiche analoghe di suscettibilità agli agenti esterni, inclusi quelli meteorologici. Più in generale, questi risultati suggeriscono la rilevanza dell’osservazione climatologica per ambiti quali la sanità pubblica e la tutela dell’ambiente, aspetti chiave del concetto più ampio di sviluppo sostenibile.