Pignatti, “deciderei di rifare l’anestesista 10.000 volte, ma si deve amare questo lavoro per poterlo fare bene”

Quella dell’anestesista è una figura centrale nel percorso di cura ma sul mercato non se ne trovano. Una carenza ormai cronicizzata, frutto di scelte politiche scellerate, che rischia di compromettere il livello di assistenza. Ma qual è la situazione all’Ospedale Ramazzini di Carpi? Con quali difficoltà si deve confrontare ogni giorno l’equipe di Anestesia e Rianimazione? Come la carenza d’organico si ripercuote sull’attività chirurgica, sulla salute dei pazienti e su quella dei medici che devono far fronte a un gravoso carico di lavoro? A rispondere è il dottor Alessandro Pignatti, direttore della Struttura complessa di Anestesia e Rianimazione dell’Area Nord.

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Il dottor Pignatti e parte della sua equipe

Il vaso di Pandora con l’irruzione della pandemia è stato scoperchiato rendendo evidente come il re sia rimasto – da tempo – impietosamente nudo. Tra le principali lacune del sistema sanitario pubblico emerse nelle fasi pandemiche più acute vi è senza dubbio quella legata all’annosa carenza di medici anestesisti. Una mancanza in realtà cronicizzata che rischia però di finire nuovamente nel dimenticatoio ora che il Covid ha allentato la presa e i media non propongono più a ciclo continuo le terribili immagini di pazienti intubati e proni. 

Quella dell’anestesista è una figura centrale nel percorso di cura e assistenza ma l’assenza di programmazione nei fabbisogni degli specialisti in relazione ai posti messi a disposizione per la formazione specialistica ha creato un gap difficilmente colmabile.

Come tali criticità a livello nazionale si riflettono sulla realtà carpigiana? Qual è la situazione all’Ospedale Ramazzini di Carpi? Con quali difficoltà si deve confrontare ogni giorno l’equipe di Anestesia e Rianimazione? Come la carenza d’organico si ripercuote sull’attività chirurgica, sulla salute dei pazienti e su quella dei medici che devono far fronte a un gravoso carico di lavoro? A rispondere è il dottor Alessandro Pignatti, direttore della Struttura complessa di Anestesia e Rianimazione dell’Area Nord.

Dottore, quanti sono i medici anestesisti – rianimatori in forza al Ramazzini? L’organico a regime quante ne prevede? 

“Nel servizio di Anestesia e Rianimazione che dirigo ho attualmente a disposizione 20 medici specialisti, assunti a tempo pieno, che ruotano sui due ospedali di area (Carpi e Mirandola) assicurandone la completa copertura per quanto riguarda attività chirurgica, guardia diurna e notturna, Rianimazione e terapia antalgica. Insieme alla Direzione Strategica stiamo definendo obiettivi e attività nel breve-medio periodo da cui poi discenderanno gli arruolamenti necessari, nella consapevolezza delle difficoltà a reperire personale, problema trasversale ad altre discipline, che hanno impedito finora di colmare le carenze, nonostante i concorsi banditi con cadenza annua e l’attivazione di diversi profili contrattuali per favorire il reclutamento”.

Come le carenze – che riguardano tutto il Paese – rallentano l’attività delle quattro sale operatorie del Ramazzini?

“L’anestesista storicamente fa parte dell’équipe della sala operatoria e se da una parte l’attività chirurgica rimane un ambito fondamentale della nostra professione, bisogna precisare che essa costituisce solo una parte del nostro lavoro quotidiano, per quanto importante sia. La figura di questo professionista, ancora oggi, non viene sufficientemente valorizzata a dispetto delle enormi responsabilità e dei numerosi ambiti in cui è chiamato a svolgere la propria attività.

Gli anestesisti assicurano la sedazione nei pazienti pediatrici sottoposti a Risonanza Magnetica Nucleare; impiantano dispositivi endovenosi completamente sottocute nei pazienti oncologici (port a cath – cateteri che permettono la somministrazione di farmaci e l’esecuzione di prelievi senza necessità di dolorose punture); trattano in ambulatori specializzati (terapia antalgica) il dolore acuto e cronico benigno e maligno eseguendo terapie infiltrative mirate; prestano assistenza a manovre invasive di endoscopia digestiva (ERCP); verificano l’idoneità dei pazienti attraverso visite preoperatorie valutando la presenza di fattori di rischio che ne possono condizionare il decorso; assistono attraverso supporti respiratori e cardiologici avanzati pazienti in cui la criticità delle condizioni cliniche e il pericolo di morte rende necessario il ricovero in Rianimazione; eseguono l’attività di partoanalgesia in Ostetricia. L’esigenza di assicurare la nostra presenza in tutti questi contesti, così differenti tra loro, impone una distribuzione di personale che cerca di soddisfare le varie richieste e di andare incontro a tutte le esigenze, nonostante le limitazioni nella nostra capacità operativa dovute alle carenze in organico. Il risultato, per quanto riguarda l’attività chirurgica in senso stretto, è l’aumento delle liste di attesa sugli interventi minori. Questo disagio, di cui abbiamo piena consapevolezza, serve peraltro ad assicurare una risposta puntuale ai pazienti oncologici che necessitano di interventi in tempi strettissimi: tutte le neoplasie vengono operate entra 30 giorni dall’inserimento in lista chirurgica, spesso anche molto prima. A onor del vero va detto anche che in questi ultimi due anni, il Covid ci ha messo del suo per complicare le cose, mettendoci seriamente in difficoltà; ad un certo punto, nella prima fase della pandemia, abbiamo rischiato di essere travolti da uno tsunami di ricoveri cui nessuno (in Italia e nel mondo) era preparato, con buona pace di chi pensa ancora che sia stata una semplice influenza”.

Quanti interventi chirurgici si compiono mediamente al giorno a Carpi? 

“Gli interventi chirurgici richiedono la presenza di un’équipe composta da più figure professionali, tra cui appunto noi anestesisti. Nel 2022 abbiamo preso parte a circa 5.200 interventi chirurgici. Ogni giorno vengono operati in media un numero variabile tra 15 e 20 pazienti, al netto delle prestazioni ambulatoriali che non richiedono la presenza di un anestesista. A Carpi l’attività Chirurgica che si svolge nei due blocchi dell’ospedale Ramazzini dispone di 10 sale operatorie ed è in grado di dare una risposta articolata e qualificata non solo a interventi chirurgici di elevata complessità (nelle 4 sale del blocco operatorio A) ma anche alle necessità di screening e follow-up di pazienti già operati. L’integrazione con l’ospedale di Mirandola amplifica e migliora la nostra capacità di intervento e risposta”. 

È stato indetto un concorso per cercare di reclutare altri medici anestesisti?

“Ne abbiamo appena concluso uno il 6 marzo a cui si sono presentati una ventina di candidati. Per la prima volta dopo tanto tempo spero di cominciare a risalire la china e rinforzare l’organico con nuove assunzioni. Dal 2017, anno in cui sono diventato responsabile dell’Unità Operativa, sono stati banditi concorsi ogni anno, abbiamo attivato profili libero professionali, abbiamo fatto ricorso all’utilizzo di medici in formazione degli ultimi anni della specialità utilizzando decreti ministeriali ad hoc (decreto Calabria, contratti Covid) e all’attività aggiuntiva per evitare riduzioni di attività. Sul tema del reclutamento abbiamo operato in una logica di rete con l’Azienda Ospedaliero-Universitaria, per fronteggiare una problematica comune. Se vado indietro con la memoria, è dal 2015 che cerchiamo personale. Ci sono stati anni in cui ai concorsi non si presentava nessuno, altri in cui sapevamo che i pochi che venivano erano già stati contattati da altre realtà ospedaliere, altri ancora in cui speravamo che si presentasse qualcuno realmente interessato a venire da noi. Non ci siamo mai arresi. Sento spesso chiedere alla sanità di fare tutti gli sforzi per reclutare personale: le strade possibili sono state tutte percorse, non si trovano medici sul mercato, non ce li possiamo inventare dal nulla. Fortunatamente il sistema può contare sugli specializzandi, la cui ottima preparazione si deve alla bontà delle nostre scuole di specializzazione e allo spirito di abnegazione di questi ragazzi. Paghiamo scelte politiche che non hanno brillato per capacità di analisi e lungimiranza e l’abolizione del numero chiuso a Medicina, come qualcuno a gran voce prospetta, rischia di essere una toppa peggiore del buco”.

Perché in Italia ci sono pochi anestesisti? E’ solo un problema legato alla scuola di specializzazione o è poco attrattiva?

“Se tornassi indietro ripeterei la scelta che ho fatto (diventare anestesista – rianimatore) 10.000 volte, ma bisogna essere chiari. Non è una professione alla portata di tutti. A chi non capisce di cosa sto parlando consiglio il video del Dr. Admir Hadzic di New York (5 reasons not to be an anesthesiologist) su YouTube. Occorre una preparazione vasta, che non conosce soste, sangue freddo e abilità manuali. Bisogna amare questo lavoro per poterlo fare bene. I turni di lavoro sono pesanti, a volte massacranti, le responsabilità che abbiamo ancora di più. Abbiamo pagato un prezzo elevatissimo con il Covid in termini di stress; qualcuno di noi porta ancora addosso le cicatrici. Siamo esposti al rischio di contenziosi giudiziari e gli stipendi medi non sono in linea con le retribuzioni dei nostri colleghi in ambito UE. Gli sbocchi libero-professionali in termini di attività ambulatoriale sono fortemente limitati rispetto altre specialistiche. Chi decide di fare l’anestesista, credetemi, non lo fa per soldi”.

Jessica Bianchi 

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