Unione Europea alle prese con l’ennesima crisi: a chi interesserà se diventeremo più poveri?

Dopo trent’anni in cui le condizioni sono progressivamente e inesorabilmente peggiorate non è il momento di guardarsi in faccia? La rubrica di PAP20

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L’Europa è alle prese con l’ennesima crisi, questa volta energetica associata agli effetti della guerra, dopo quella del 2008 dei mutui subprime (oltre alla bolla immobiliare), dopo quella del 2011 (crisi del debito sovrano) e dopo la crisi pandemica. Per salvare l’euro e limitare l’inflazione, la Banca Centrale Europea ha alzato i tassi di interesse col rischio di favorire una recessione già incombente: l’aumento dei tassi di interesse mette in difficoltà paesi fortemente indebitati come l’Italia costantemente sul patibolo per lo sforamento di bilancio e per il rapporto deficit/pil in osservanza a regole europee che non sono mai state tagliate su misura del nostro Paese. Con la differenza che mentre l’Italia vi si attiene con ligia sudditanza, la Germania se ne infischia e annuncia un maxi scudo da 200 miliardi per proteggere i propri cittadini senza che nessuno le chieda conto dell’eventuale sforamento della regola del 3 per cento.

Ad ogni crisi si ripropone la stessa scena su uno sfondo diverso ma ogni volta si palesa il medesimo problema dell’Europa: si è costruito un castello sopra la sabbia e lentamente affonda perché aumentano i problemi.

E’ il momento che i Paesi membri si mettano a un tavolo perché siamo a un passo dalla disgregazione: o se ne parla o il destino è segnato. In altri Paesi c’è questo dibattito, per gli italiani l’Europa è un Moloc. E così succede, per esempio, che in nome della sacrosanta lotta all’inquinamento, firmiamo per abbassare le polveri sottili senza considerare che la pianura padana è più svantaggiata rispetto alla città francese di Calais: sottoponendoci alle regole europee ci siamo condannati a pagare le sanzioni che già versiamo all’Europa e che aumenteranno. I politici dov’erano quando si dovevano fare carico della possibilità di difendere il nostro territorio dall’impianto burocratico folle deciso in Europa? Perché la colpa deve ricadere sulla Regione, sulla città, sul cittadino, sulle imprese?

Gli aiuti Ue, con soldi anche italiani, hanno consentito ai paesi dell’est come l’Ungheria di dotarsi di infrastrutture, di ospitare imprese tedesche, di fare concorrenza alle imprese italiane. Dopo trent’anni in cui le condizioni sono progressivamente e inesorabilmente peggiorate non è il momento di guardarsi in faccia? C’è bisogno di una comunità europea, non di un blocco di 27 Paesi in cui ognuno pensa a se stesso. Se il bene di ogni singolo Stato non è più lo scopo dell’Unione Europea, interessata a salvaguardare la moneta e i guadagni degli investitori internazionali, a chi interesserà se diventeremo più poveri?

PAP20

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