Staccare la spina alle forniture di gas russo è questa la strada obbligata che ci si para dinnanzi. E per ridurre la dipendenza energetica dal Cremlino, il nostro Paese sta puntando sui rigassificatori, ovvero strutture in grado di riportare il gas naturale dallo stato liquido, che lo rende adatto al trasporto vai mare, allo stato gassoso e, dunque, utilizzabile. Ai tre già esistenti (la cui capacità totale è di circa il 20% del fabbisogno nazionale) si dovrebbero aggiungere due nuovi impianti galleggianti al largo di Ravenna e di Piombino. Ma la nuova capacità di rigassificazione su navi metaniere sarà sufficiente per affrontare l’inverno che ci attende? E, soprattutto, saranno pronti in tempo? Il fondatore di Nomisma Energia, nonché professore di Unibo, Davide Tabarelli, è lapidario: “la capacità di ciascuno di questi due rigassificatori è di 5 miliardi di metri cubi, per un totale di 10, contro i 29 del gas russo e non saranno pronti prima del prossimo anno; dunque non saranno utili per fronteggiare le criticità che non si faranno attendere nei mesi più freddi, ovvero tra gennaio e febbraio 2023”.
Professore gli accantonamenti fatti sino ad ora sono sufficienti per contenere i danni?
“A febbraio nel nostro Paese generalmente si arriva a una domanda di 400 milioni di metri cubi giorno, coperta soprattutto dalle scorte accantonate e che sono piene all’inizio di ogni inverno, situazione che non cambierà quest’anno. Il problema però è un altro: nei giorni più freddi è necessaria tutta la pressione dei tubi di importazione, compresi quelli della Russia, i più importanti. Se manca all’appello alla Russia ci saranno problemi di pressioni e saremo costretti a tagliare qualcosa”.
L’Unione Europa auspica un razionamento del 15%…
“Il documento dell’Unione Europea non è altro che un proclama ambizioso. Un auspicio. Un razionamento, peraltro in termini volontari, del 15% è ben poca roba, per l’Italia ad esempio si tradurrebbe in un taglio di 8 miliardi di metri cubi. In Europa il consumo di gas non sta affatto diminuendo, in alcuni segmenti sta addirittura aumentando, in particolare nella produzione di energia elettrica tesa a rispondere alla domanda crescente di condizionamento a fronte del calo produttivo dell’idroelettrico a causa della siccità. Con questa proposta l’Unione non fa altro che tergiversare, fa politica. E’ il suo mestiere: mettere d’accordo tutti è impossibile e dal momento che quello che ci si prospetta è un vero incubo, l’Unione si limita a invitare gli stati membri a consumare meno. Poi qualcosa di buono c’è nel documento: dal permesso a consumare più carbone a un accenno al maggior utilizzo del nucleare, passando per l’ipotesi, qualora la situazione si aggravasse, di mettere in campo veri piani di razionamento. Piano che però dovremmo fare sin da ora dicendo chiaramente quali aziende, quali centrali elettriche e quali aree del Paese dovranno essere tagliati se ve ne fosse la necessità”.
La linea dell’Europa è troppo morbida secondo il professor Tabarelli, poiché fa affidamento sul fatto che la “Russia non tagli. Scenario probabile, anche in considerazione della ripresa del flusso di gas dal Nord Stream, ma siamo in guerra e nessuno lo scorso 24 febbraio avrebbe detto che ci sarebbe stata. Occorre prepararsi all’ipotesi peggiore sperando che non si verifichi”.
Nell’ipotesi maggiore da dove si dovrà iniziare a tagliare?
“Di certo dai grandi consumatori, vicino a Modena ad esempio, pensiamo alle ceramiche. Con una domanda di 400 milioni di metri cubi giorno se ne dovranno tagliare circa 40/50: l’industria tutta insieme è disponibile a far qualcosa, fino a 20/30, ma non basta e allora si dovrà tagliare sulle centrali elettriche. Il nostro sistema elettrico però dipende moltissimo da quello stesso gas che dovremo tagliare per produrre elettricità…”.
Crede che le bollette aumenteranno ancora?
“Per il momento credo si possano escludere ulteriori balzelli, almeno sul mercato tutelato, nonostante i prezzi internazionali siano ancora ballerini”.
Chiara Tassi e Jessica Bianchi