Era un mattino di primavera inoltrata, un mattino come tutti gli altri, sereno, tranquillo, silenzioso. Era il mattino del 29 maggio 2012. Mia moglie era andata in piscina con mio figlio e a casa ero rimasto io e mia nuora che abita al piano di sopra. Un mattino tranquillo, soleggiato se ben ricordo, ormai in me era passata la paura per la scossa del 20 maggio, anche perché ero a letto e dormivo e non l’ho sentita più di tanto, tant’è vero che a mia moglie avevo detto: “ma sarà stato un reattore che ha superato il muro del suono” perchè io dormendo sono stato svegliato solo da un gran rumore, da un gran colpo e basta, ma questa volta e cioè per la scossa del mattino del 29 maggio è stata tutta un’altra cosa. Stavo attraversando un’entratina del mio appartamento tutto sereno e tranquillo, mia nuora su che puliva e che pensava al pranzo da preparare ed io giù nell’entratina a guardare se c’era qualcosa da fare. Il mio sguardo che intorno girava, di colpo s’è fermato a un angolo vicino a una specchiera quando la mia serenità, la mia tranquillità, il mio vivere di un giorno semplice e sorridente alla vita furono aggrediti da un rumore lento, quasi silenzioso, come persona che lentamente si sveglia fuggendo dalla notte verso l’alba, quando, ripeto, di colpo, si trasformò in un rumore forte, veloce, aggressivo e spaventoso, con un grande boato che mi ha terrorizzato, bloccato, impietrito, che più che paura era terrore, grande terrore di essere colpito a morte. Tutto questo stato d’animo mi ha portato a un episodio simile, di paura e di terrore che non ho più dimenticato da quando mi è capitato anche se questo episodio ha sulle sue spalle già più di sessant’anni. Era un giorno sempre di primavera, un giorno di guerra, uno degli ultimi. Passavano i combattimenti. Ovunque si sparava. Ovunque bombardavano. Io, mio padre, mia madre e la mia sorellina, presi dalla paura, dalla casa di campagna che ci ospitava siamo fuggiti verso la campagna non sapendo che avremmo trovato il peggio. A casa era rimasto l’altro mio fratello, il maggiore di noi tre, seduto, se ben ricordo, su una sedia – poltrona. Aveva le braccia appoggiate ai braccioli, sguardo fisso in avanti, occhi terrorizzati. Non venne con noi perché penso che la grande paura lo avesse immobilizzato e non si rendesse neanche conto di quanto ci stava succedendo intorno, ossia un finimondo. Ad un certo punto della nostra fuga raggiungemmo un piccolo fossato e ci buttammo giù, sdraiati, con la faccia contro la terra nella speranza di nasconderci, di non essere visti. Si sparava dappertutto. A un certo punto ho avvertito un rumore simile a quello del terremoto. Non l’ho più scordato. Ho alzato gli occhi al cielo, un grosso aereo ci veniva contro e mitragliava. Mitragliatrice e aereo davano rumore, boato, paura e terrore come mi ha dato il terremoto. Chiamai mia madre e le dissi, lo ricordo benissimo come fosse adesso tanto mi ha spaventato, “mamma ci ha visti, ci ha visti” e in me era entrata la paura che ci volesse colpire, che ci volesse sparare, che ci volesse uccidere, ma poi l’areo fece una virata e una cabrata e se ne andò via. Evidentemente il suo obiettivo non eravamo noi. Uscimmo dal fossato e ritornammo a casa. Ripeto, quel giorno non l’ho più dimenticato come questo del 29 maggio. E ritornando al mattino del 29 maggio quel boato del terremoto che mi ha impietrito, mi ha fatto urlare e chiamare mia nuora: “Paola dove sei? Vieni giù, presto, scendi, scendi”. Io non capivo più niente, sono fuggito fuori dalla porta da me poco distante che dà sulla strada e nella strada c’era giù tanta gente e poi non ricordo più nulla. Seppi poi da mia nuora che lei non era scesa subito perché s’era appoggiata alla stufa e al lavandino per non cadere. Cercai di fare mente locale. Intanto erano arrivati mia moglie e mio figlio dalla piscina. Erano ancora per strada quando avvenne la grande scossa tanto che la macchina fece una sbandata che a mio figlio fece dire: “mamma fermati siamo entrati in una buca, forse qualcosa s’è rotto” ma lei “altro che rottura, questo è il terremoto” e infatti purtroppo, aveva ragione. Quando mia moglie e mio figlio sono entrati in giardino io ero sceso di alcuni gradini la scaletta esterna. Mi raggiunse anche mia nuora, ero appoggiato al corrimano. Mi si avvicinò. Mi accarezzo e poi mi disse: “su Giorgio coraggio, tutto è passato”. Io rimasi ancora in silenzio e poi con voce tremante, quasi venisse da lontano con tanta tristezza, paura e disperazione e con le parole che non volevano uscire dalla mia bocca risposi a mia nuora: “Paola mi vergogno, mi vergogno” e scoppiai in un pianto per il quale non ho parole che possano descriverlo, che possano dire quello che ancora sento nel mio cuore, nel mio animo. Ma mia nuora si avvicinò ancora di più, mi guardò e in quel suo sguardo c’era una luce divina, paradisiaca e nel silenzio che ci circondava intervenne pronunciando queste parole: “forse ce l’abbiamo fatta e lei non ha nulla di cui vergognarsi”. Alzai la testa e quella forza mi fece dimenticare il passato e il presente.
Il fossato e il terremoto
Il delicato racconto del carpigiano Giorgio Palmieri, sospeso tra il ricordo della guerra e quello del sisma.