Vulvodinia, ancora troppi i tabù legati alle patologie del sistema urogenitale femminile

Alzi la mano chi ha mai sentito parlare di vulvodinia. A rompere il “tabù” sul binomio salute e sessualità femminile ci ha pensato sui social una giovane donna, la modella e influencer 25enne Giorgia Soleri. Ma in cosa consiste tale patologia? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Maria Cristina Iannacci, ginecologa e sessuologa carpigiana.

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Immagine di Giorgia Soleri tratta dal suo profilo Instagram

Alzi la mano chi ha mai sentito parlare di vulvodinia. A rompere il “tabù” sul binomio salute e sessualità femminile ci ha pensato sui social una giovane donna, la modella e influencer 25enne Giorgia Soleri. “Mi hanno diagnosticato la vulvodinia dopo anni di dolori, di medici che mi dicevano che era tutto psicosomatico. Una donna in Italia ci mette 4 anni e mezzo per una diagnosi di vulvodinia, nel frattempo la malattia ti porta via la vita”, scrive. Una scelta coraggiosa, quella di Giorgia, che ha contribuito a far luce su una patologia di cui si parla ancora troppo poco. “La mia storia è la storia di molte persone, e ci siamo stancate di essere considerate invisibili. Molte ragazze non hanno accesso alle terapie, perché non vengono credute da genitori e anche da alcuni medici. Purtroppo sui problemi e le patologie legati al sistema urogenitale femminile c’è un tabù talmente radicato che è difficile da combattere anche nel campo medico”. Ma in cosa consiste tale patologia e come può essere curata? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Maria Cristina Iannacci, ginecologa e sessuologa carpigiana.

Dottoressa quali sono i sintomi della vulvodinia?

“Il termine vulvodinia vuol dire dolore localizzato a livello vulvare. Può essere spontaneo, cioè presente indipendentemente da stimoli esterni oppure evocato da compressione (vestiti stretti, contatto con assorbenti o salvaslip, durante un’attività sportiva come cyclette o acquabike) o da sfregamento, tipicamente in corso di giochi erotici e rapporti sessuali penetrativi”.

Quali invece le cause?

Maria Cristina Iannacci

“Distinguiamo due grandi categorie di vulvodinia: quella da patologia specifiche, identificabili con anamnesi, visita medica ed esami e il dolore vulvare che dura da tempo, almeno tre mesi, senza alcun patologia apparente. Nel primo caso si identificano cause infettive, quali micosi recidivanti o vulvovaginiti miste (ahimè trattate ripetutamente con antibiotici), cause traumatiche (molto frequentemente lesioni da parto), ormonali, per esempio la sindrome genitourinaria della donna in menopausa ma anche alterato trofismo delle mucose legato all’assunzione di contraccettivi ormonali. La vestibolite, termine medico che indica l’infiammazione di quella delicata mucosa che permette di entrare in vagina, è l’elemento comune di queste situazioni patologiche e il primo step dell’escalation negativa che porta alla sindrome. Un esempio per tutte: il tenore estrogenico basso delle nuove pillole o addirittura assente nelle pillole con solo progestinico o con l’utilizzo delle spirali medicate così di moda in questo periodo, non garantisce una buona reattività erotica, con conseguente dolore occasionale ai rapporti. Se si instaura la paura di sentire male nei successivi incontri amorosi, l’ansia anticipatoria induce una contrazione riflessa dei muscoli del pavimento pelvico, una sorta di difesa più o meno inconscia verso qualcosa di pericoloso, che rende ancor più difficoltosa la penetrazione. Dal circolo vizioso che si crea è difficile uscirne senza aiuto.

Esiste però una forma di vulvodinia un po’ diversa, che rientra nel grande capitolo delle sindromi da dolore neuropatico. Si tratta di dolore localizzato a livello vulvare per neuroinfiammazione. Per semplificare, ripetuti disturbi infettivo/infiammatori locali, trascurati o, ancora peggio, trattate con inutili e inefficaci antibiotici, disbiosi intestinale, scorretti stili di vita… portano all’attivazione di cellule infiammatorie e al rilascio di citochine che alla lunga cercano di difendere strenuamente il territorio ma… inducono la creazione di nuove terminazioni nervose. Ecco che la sensibilità dell’area aumenta notevolmente e il cervello interpreta le sensazioni provenienti dall’area infiammata come dolorose. Dalla sensazione piacevole ed erotica si shifta verso il dolore”.

Si può curare?

“La forma con causa infettiva/ormonale/traumatica sì. Ovviamente vanno individuate le radici del problema poiché a volte sono molteplici e la cura deve tenere presente l’evoluzione della sindrome. Per questo il solo trattamento dell’infezione, il ripristino di un corretto equilibrio ormonale o il concentrarsi unicamente sul rilassamento del pavimento pelvico possono non essere sufficienti. Vanno trattate tutte le possibile cause del problema, a partire dalla cura dell’intestino! Il dolore neuropatico, invece, che viene sempre di più considerato una malattia in sé, rappresenta un problema terapeutico alquanto complesso. Si tratta di una terapia articolata, su vari piani, locali ma anche con farmaci che agiscano a livello del sistema nervoso centrale con tempi medi di guarigione di molti mesi”.

C’è ancora una scarsa consapevolezza di questa patologia, a chi ci si può rivolgere se si soffre di vulvodinia?

“Non so se la scarsa consapevolezza sia più presente nelle pazienti o nei medici… Consiglio alla donna di ogni età di prendere sul serio i sintomi di discomfort vulvare e consultare subito uno specialista. Non tutti i ginecologi, tuttavia, hanno esperienza e competenza nel settore, per cui a volte si assiste alla migrazione delle pazienti con notevole ritardo su diagnosi e cura corretta. Nei casi più gravi e resistenti a qualsiasi terapia multimodale, il solo invio a centri ultraspecialistici del settore può essere il miglior consiglio. Le pazienti con vulvodinia ben curata e seguita nel tempo, comunque, sperimentano molto spesso un pieno ritorno alla salute psicofisica e sessuale. Sono ottimista”.

Jessica Bianchi 

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