Le origini delle coperte patchwork risalgono ai tempi dei pionieri del Nord America, quando le donne, sedute in cerchio in riunioni comunitarie, univano le pezze di stoffe dando forma a una coperta fantasiosa. Quello di Carloalberto, scrittore e “bottegaio cantastorie”, come amano definirlo gli avventori del suo negozio, ci sembrava il racconto giusto per dare inizio a quello che si può definire un lavoro di sartoria condiviso. Ha accolto per primo l’appello a portare luce su storie di cuore e lo ha fatto magistralmente regalandoci queste parole e permettendoci di essere parte dell’intimità rara che nasce dai discorsi fatti sottovoce. L’intimità da ritrovare e da preservare.
Il bottegaio cantastorie. Mi chiamò così un giorno e mi parve la carezza di chi era abituato a vestire i minuti con le parole giuste.Probabilmente un professore di lettere in pensione (non è mai servito chiederlo). In timida trasparenza, acume e intelligenza rare, meritevoli delle premure che si devono ad una pianta centenaria sopravvissuta alle peggiori tempeste. Sempre poche parole, le pause giuste, un ascolto mai di maniera, un sorriso caldo sotto a due occhi mappamondo. Il mio preferito per distacco. Ogni volta che veniva in bottega, i pochi minuti gentili che ci scambiavamo, coprivano di bellezza i mesi a venire. Da venticinque anni ascolto e osservo per lavoro e lo faccio consigliando film e raccontando storie.
Un osservatorio privilegiato. Bellezza ed orrori umani a rincorrersi, in tempi dove il brutto tende a farsi largo senza troppi antagonismi. Anno dopo anno, ho notato che il mio ascolto a volte si interrompeva, prendeva fiato. L’osservatorio privilegiato, a volte diventava la camera oscura che non volevi vedere. Col Professore mai.
Ogni volta un regalo. La gioia per il film giusto, la riflessione su di un romanzo, poche domande personali sempre accompagnate da pudore e rispetto. Poi il Covid, i lockdown, le consegne a domicilio, la paura, i contagi e poi di nuovo: aperture, nuove speranze, dinamiche da imbastire in un mondo che apparentemente richiedeva più umana comprensione ed empatia, ma nel concreto si specchiava negli interrogativi più cupi, tra egoismi faziosi, derive politiche e sociali e la difficoltà nell’assaporare il valore del tempo e i giusti rintocchi a cui dare udienza. In tutti quei mesi, il Professore non si era mai visto. Scomparso. Temevo il peggio, non era mai successo. Quando un venerdì pomeriggio, con un sorriso nuovo, mai visto prima, malinconico e premonitore, si ripresentò in bottega. Ne fui sollevato, ma per pochi secondi. Certo ero felice di constatare che il virus lo avesse solo sfiorato e la sua presenza mi parve da subito come un egoistico risarcimento del destino, dopo tanti mesi di barriere e umane paure.
“Buongiorno Carlo, come andiamo? “.
Non so perché, ma la mia risposta: “Bene Professore… che bello vederla…” non fu accompagnata dalla postilla: “E lei?”. Qualcosa di molto intimo, inspiegabilmente familiare, mi diceva che i mesi di assenza dalla mia piccola bottega altro non erano che la somma delle preghiere al capezzale di un destino beffardo.
Non me lo aveva detto, e io non ho mai avuto capacità da ipersensitivo o veggente. Me lo dicevano i suoi occhi, il modo di portarsi gli occhiali al naso e una tristezza difficile da travestire. “Ce l’ha un bel film da consigliarmi oggi? Niente di triste, oppure sì, ma che ne valga la pena… mi fido di lei”.
In quei mesi di distacco, fisico, di abbracci mancati, di paura dell’altro, quel giorno ci abbracciamo come mai. Con le parole, per lunghi minuti a perderci tra gli scaffali della fantasia, ricamando oltre le trame, oltre i volti degli attori, oltre il tempo. Dicendoci, con pudore e orgoglio, quanto fosse mancato quel calore e di quanto, il film di quella sera, sarebbe piaciuto… tanto… anche a sua moglie.
E’ una storia struggente e bellissima, non è vero? Grazie di cuore, Carloalberto, per aver scelto di farcene dono.
Elisa e Evelyn