Il nuovo ospedale e la cementificazione che verrà

Alcune riflessioni sul consumo di suolo del carpigiano Stefano Facchini. “Mi chiedo - scrive alla Redazione - se sia davvero necessario dover urbanizzare e cementificare ettari di terreni per costruire un nuovo ospedale, con relative strade, parcheggi e inquinamento da autotrasporto per raggiungerlo”.

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L'area su cui sorgerà il nuovo ospedale

Aldo Meschiari ha scritto, poco tempo fa, su Tempo: “Si stima che mediamente in Emilia-Romagna manchino il 40% delle piogge previste tra marzo ed agosto, ma nella nostra zona le cose vanno anche peggio. Il carpigiano, come tutta l’Emilia centrale, fa registrare un deficit pari al 50 %…Serve una azione politica immediata che spinga per la sostituzione dei combustibili fossili con altre forme di energia pulita. A livello locale la fragile Pianura Padana può tentare di limitare i danni attraverso politiche verdi che ripensino la città piantando più alberi e limitando al massimo il consumo di suolo”.

Secondo i calcoli di Ispra – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale “negli ultimi sei anni l’Italia ha perso superfici che erano in grado di produrre tre milioni di quintali di prodotti agricoli e ventimila quintali di prodotti legnosi, di assicurare lo stoccaggio di due milioni di tonnellate di carbonio e l’infiltrazione di oltre 250 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde”. A fronte di questi dati, mi vengono in mente alcune considerazioni. Chi è nato nei primi Anni ’60 non può non riconoscere che la città “costruita” (abitazioni, fabbriche, strade, centri commerciali…) è più che raddoppiata, unendo di fatto la città con tutte le frazioni più vicine. La popolazione è invece aumentata solo di circa 20.000 unità. Sono sotto gli occhi di tutti i numerosissimi cartelli con la scritta “vendesi” (l’affitto è solo un lontano ricordo…) sparsi un po’ dappertutto: nelle zone residenziali come in quelle artigianali e industriali. Altrettanto evidenti, per chi voglia vederle, sono le numerose costruzioni fatiscenti e inutilizzate. Altro aspetto, innegabile e risaputo, è quello per il quale, una volta costruito e cementificato un pezzo di terra, questo non sarà mai più riportato a semplice suolo vergine o agricolo: potrà essere riconvertito per altri usi, ma mai abbattuto per ritornare ed essere semplice terra. La notizia positiva invece è che oggi – grazie a tecnologie e capacità costruttive, impensabili anche solo 50 anni fa – è possibile implementare riconversioni edilizie straordinariamente efficaci, che consentirebbero di non sprecare altro suolo vergine, che non è infinito. Vero che è più semplice e lineare costruire su un terreno vergine. E’ però molto più interessante, sfidante e coraggioso progettare interventi e su aree già edificate, senza consumare altro suolo. L’Amministrazione Comunale stessa afferma che: “la città non va più vista sotto un’ottica di espansione ma di riqualificazione di ciò che già esiste… lasciando spazio alle sole trasformazioni che non consumassero suolo”; “la parola d’ordine sarà riqualificare prima di consumare altro suolo”… Salvo poi inserire tutta una serie di “eccezioni” che, di fatto, annullano i buoni propositi di cui sopra. Fatte queste premesse, mi chiedo se sia davvero necessario dover urbanizzare e cementificare ettari di terreni per costruire un nuovo ospedale, con relative strade, parcheggi e inquinamento da autotrasporto per raggiungerlo. Fortunatamente la mobilità urbana si sta (lentamente) spostando verso l’uso della bicicletta o dei mezzi pubblici, ma è chiaro che un conto è fare pochi chilometri per raggiungere un punto centrale come è l’attuale ospedale; tutt’altra cosa dover raggiungere in bici un luogo molto più distante e decentrato. I soldi già stanziati dalla Regione non andranno certo perduti, potranno essere utilizzati per ricostruire il nuovo ospedale là dove c’è già. Una opzione non banale ma possibile, è sufficiente volerlo. Occorre avere coraggio, perché tale scelta andrebbe sicuramente contro interessi e poteri, più o meno “forti”. E’ doveroso pensare al beneficio di tutti, quello di oggi ma soprattutto quello di domani.

PS – Trovo invece interessante, anche se oneroso, il progetto del sottopasso ciclopedonale che dovrebbe connettere la piazza col futuro polo universitario-tecnologico e Parco Lama. Qui la speranza è che sia la volta buona per connettere, con una ciclopedonale, anche le vie Due Ponti e Roosevelt/Tre Ponti. I due quartieri finora tagliati fuori dalla ferrovia, potrebbero trovare nuove e inedite “connessioni”, oltre a quella dovuta alla comune Scuola media Hack di Cibeno.

Stefano Facchini