Il prossimo sarà il dottor Vanni Pavarotti che si ritirerà a fine dicembre: i suoi pazienti, più di 1.400, gli rinnovano ogni giorno stima e riconoscenza, nella consapevolezza che lo rimpiangeranno. A fine settembre era stato il dottor Tiziano Cadioli ad andare in pensione. I medici di famiglia sono unna specie in via d’estinzione ma non solo loro. Quello che stiamo vivendo è solo l’inizio di un terremoto che sta colpendo l’ospedale e il territorio, il personale medico e quello infermieristico, ed è frutto di errori di programmazione di cui subiremo le conseguenze per almeno dieci anni, ammesso che si voglia cambiare da domani con numeri e investimenti adeguati. Al di là delle mura che si intendono costruire, senza personale non si andrà da nessuna parte.
La situazione è insostenibile da tempo e la pandemia ha semplicemente svolto una funzione di accelerante: i primi ad andarsene in pensione appena possono sono proprio i medici di famiglia. Un tempo in prima linea, oggi sentono di essere finiti nelle retrovie, eppure nelle loro mani c’è il territorio: è a loro che si rivolgono i cittadini per una fondamentale prima visita con relativa diagnosi, oltre che per avere una ricetta.
Oggi ci chiediamo il perché della crisi nei Pronto Soccorso o della carenza di specialisti di tutti i tipi per cui diventa un’impresa impossibile prenotare una visita (come fanno medici di base a lavorare se devono prescrivere una visita specialistica e le agende sono chiuse?), ma non ci rendiamo ancora conto dello tsunami che si sta abbattendo. Nessuno lo dice apertamente e ci si limita a tappare i buchi che quotidianamente si presentano.
L’emergenza sanitaria ha segnato una transizione importante: ha aperto le porte alla telemedicina e nuovi scenari si profilano sul fronte delle tecnologie al servizio dell’assistenza territoriale ma i progetti annunciati procedono con lentezza e non trovano concretezza. La telemedicina,
la centrale di continuità assistenziale, il collegamento informatico tra i medici di famiglia e il Pronto Soccorso
Ci sono molte possibilità di fare le cose ma è essenziale rispondere alla domanda: che tipo di sanità vogliamo? Pubblica, privata, mista? Qualcuno deve spiegarci che obiettivi abbiamo e che risorse verranno messe in campo ora e in futuro.
Servirebbero investimenti per potenziare le cure primarie territoriali, la telemedicina, l’informatica, la dotazione di infermieri ma ancora nel Pnnr si continua a parlare solo di inaugurazioni di ospedali, Osco e Case della Salute che sono dei poliambulatori con quattro medici di medicina generale o medicina di gruppo inseriti in una rete di servizi mentre gli altri quaranta sono fuori.
Bisogna investire sulla medicina del territorio perché non ci saranno mai posti letto sufficienti per tutti i malati cronici negli ospedali eppure dal 1979 le cure territoriali non ricevono finanziamenti supplettivi e restano al 6,2 % del fondo sanitario nazionale come quando la gente moriva molto giovane, non c’erano badanti, non c’erano vecchi.
Nel 2022 resteranno in servizio nel distretto di Carpi 45 medici di base per 63.700 assistiti a partire dai 15 anni: ogni medico si ritroverà 1.400 pazienti, di cui la metà malati cronici. A Novi di Modena, da gennaio resteranno in servizio 5 medici di base per unna popolazione di 10mila abitanti. È intuibile che l’offerta di assistenza alla popolazione non sarà la stessa e cosa potrà succedere quando tutto questo verrà toccato con mano dai cittadini che saranno i primi a farne le spese.
Sara Gelli