Il Buco arriva al Cinema

Premio speciale della Giuria alla 78° Mostra del Cinema di Venezia a Il Buco del regista Michelangelo Frammartino, in questi giorni nelle sale cinematografiche.

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“Mi colpì che un giovane gruppo di speleologi piemontesi di belle speranze, nel boom economico, prendesse un treno verso il sud e si infilasse sottoterra”.

Michelangelo Frammartino.

Strana la vita e strana la storia, anche quella con la esse maiuscola, se decide di generare nello stesso anno, il 1895, tre discipline dal grande avvenire: la psicanalisi, la speleologia e il cinema, checché ne abbia detto il vecchio Lumiere quando a proposito dell’invenzione dei figli Auguste e Luis sentenziò che il cinema non avrebbe avuto futuro. Invece siamo qui ancora emozionatissimi per aver assistito a Il buco, non solo un film ma un’esperienza sensoriale estremamente coinvolgente. Il regista Michelangelo Frammartino una decina di anni fa in una pausa delle riprese del suo film Le quattro volte fece un’escursione nel Parco del Pollino e rimase stupito nel trovarsi sull’orlo dell’Abisso del Bifurto, una grotta che sprofondava nel terreno per 687 metri, che la rendeva tra le più profonde al mondo e la prima in Europa. Quello stupore deve averlo perseguitato parecchio se ha trovato la forza di cimentarsi in un’impresa certamente inusuale, specialmente per un regista.

Così ha ingaggiato un gruppo di giovani speleologi e insieme a loro ha ripetuto l’impresa che nel 1961 portò alla completa esplorazione dell’abisso calabrese. Accadde infatti che mentre il mondo guardava allo spazio, al cielo e il Pirellone bucava per primo il cielo milanese, un gruppo di giovani piemontesi rivolgesse la propria attenzione al sottosuolo. 

Frammartino ha inteso quindi realizzare il suo film utilizzando le stesse attrezzature d’epoca perché non si accontentava della impressione di realtà che il cinema è solito dare. Desiderava proprio che assistessimo a una spedizione fatta nelle precise condizioni di allora. Non ci sono parole nel film, tutto è affidato all’immagine – puro cinema – e posso garantire che a mano a mano che la cinepresa si lascia calare nelle profondità oscure del sottosuolo si trattiene il fiato e ci si domanda perché un gruppo di giovani penetra nel profondo, come in un ventre materno prenatale…  

Con una facile battuta verrebbe da dire che la risposta non è caduta nel vento, ma da ricercarsi con la psicanalisi. Sta di fatto che ringraziare l’autore e la sua troupe è il minimo tributo da offrire a tanto coraggio ed entusiasmo. Onore al merito al direttore della fotografia Renato Berta che in superficie ha seguito e diretto le luci, al cineoperatore Luca Massa, espertissimo nel lavorare in ambienti difficili e inospitali. In una grotta verticale come quella, si scende appesi a una corda e immagino la difficolta nel calare le attrezzature, nel trovare i luoghi dove sistemarle. L’operatore ha ricordato così il suo lavoro: “La grotta è un ambiente severo e l’idea di Michelangelo era quella di scoprirla come hanno fatto gli speleologi del tempo. Abbiamo trascorso circa 27 ore nella parte più profonda della grotta mandando il segnale video all’esterno con un cavo di fibra. E’ stata un’esperienza faticosa ma altrettanto gratificante”. 

Verso la fine della discesa e del film i cunicoli sono così stretti che ci passa appena una persona e confesso un certo malessere nel seguire l’azione nonostante fossi comodamente seduto in una poltrona di una sala grandissima. C’è di bello che il regista ci concede molti attimi di respiro con intensi campi lunghi sul paesaggio di superficie, con mucche al pascolo e dove respirare a pieni polmoni (nonostante la mascherina). 

Ivan Andreoli

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