L’Acetaia Fondo Toschina del carpigiano Mauro Clò, immersa nella campagna tra Carpi e Cortile, (in via Cavetto Gherardo, 11, laterale di via Griduzza) riapre al pubblico domenica 26 settembre, dalle 9 alle 12,30 e dalle 15 alle 19, in occasione di Acetaie Aperte, l’evento promozionale più importante dell’anno per il comparto e organizzato dai Consorzi di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena IGP e dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP. Una preziosa occasione per assaporare un prodotto artigianale straordinario, amato da chi cerca un’esperienza sensoriale non comune e sempre più utilizzato da chef stellati per rendere uniche le proprie ricette. All’Acetaia Fondo Toschina (www.acetaiafondotoschina.jimdo.com) nasce infatti l’Aceto balsamico tradizionale di Modena Dop, un oro nero che fa parte della tradizione della nostra terra. Mantenere “in salute” una batteria di aceto non è semplice, soprattutto per i neofiti, ecco perchè sono vari i privati che hanno affidato alle cure di Mauro Clò, maestro assaggiatore della Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Spilamberto, nonché esperto degustatore della Camera di Commercio di Modena, le proprie acetaie.
Professore, quali sono le problematiche che affliggono maggiormente il balsamico e a cui deve cercare di porre rimedio?
“Le due criticità più comuni sono la bassa acidità e la troppa densità. Per sapere quanto vale o quanto è buono il proprio aceto balsamico la Consorteria di Spilamberto, già da tempo, ha introdotto una pagella di valutazione che tiene in considerazione i parametri visivi, così come quelli olfattivi e gustativi di ogni singolo prodotto oltre a un Adeguamento Parametro R ovvero il rapporto tra densità e acidità che non dev’essere superiore a 10, in caso contrario l’aceto incorre in penalizzazioni fino a meno 16 punti”.
Qual è la densità ottimale di un aceto balsamico tradizionale?
“La densità ottimale di un aceto, espresso in BRIX è 72: per avere un parametro R ottimale, cioè 10, il valore dell’acidità non dev’essere inferiore a 7,2 gradi. Infatti dividendo 72 gradi BRIX (densità) con 7,2 ( acidità) il risultato è proprio 10. Partendo da tale presupposto pochi aceti risultano nella norma anche perché quasi nessun privato si informa di ciò che ha tra le mani, facendo le analisi, e il prodotto finale è quasi sempre sbilanciato verso il troppo denso e poco acetico. Una densità eccessiva che, molte volte, rasenta la cristallizzazione”.
Perchè l’aceto cristallizza e come si corre ai ripari?
“Nel momento dei rincalzi, occorre utilizzare un mosto cotto non più di 12 ore poiché un prodotto cotto troppo a lungo, ad alta concentrazione di zuccheri, (più si cuoce più si addensano) impedisce l’attività dei lieviti e dei batteri acetici. In questo caso i lieviti e i batteri muoiono e si assiste alla cristallizzazione del glucosio. Un altro accorgimento, che non tutti adottano dopo la cottura, è la fermentazione del mosto durante la quale, in un primo momento avviene una fermentazione alcolica e dunque parte degli zuccheri (fruttosio e glucosio) si trasformano in alcool e poi una fermentazione acetica che trasforma l’alcol in acido acetico. Solo così si riesce a ottenere un mosto acetificato ad alta acidità essenziale per la buona riuscita del prodotto. Mai usare i mosti concentrati del settore enologico: l’eccessiva quantità di zucchero presente e il conseguente impiego di aceto di vino, troppo ricco in acido acetico, impediscono infatti qualsiasi attività microbica”.