Il focolaio in Ostetricia a Carpi fa scuola

Il caso ha spinto la direzione aziendale dell’Ausl ad avviare percorsi di analisi e monitoraggio sui comportamenti dei dipendenti e sull’uso dei necessari dispositivi di sicurezza, a partire dalle mascherine.

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Il caso della neo mamma contagiata in sala parto al Ramazzini di Carpi da una ostetrica positiva al Covid-19, insieme a tre colleghi dell’operatrice, ha sollevato leciti e numerosi dubbi circa l’impiego costante e appropriato dei necessari dispositivi di sicurezza all’interno dei reparti ospedalieri “puliti”. Un caso che, oltre a scatenare numerose polemiche in seguito al ricovero al Policlinico della figlia neonata della donna a cui la febbre non accennava a scendere, ha spinto la direzione aziendale dell’Ausl ad “avviare percorsi di analisi e monitoraggio sui comportamenti dei dipendenti e sull’uso dei necessari dispositivi di sicurezza, a partire dalle mascherine. Strumenti che – ha spiegato il direttore generale Antonio Brambilla – se utilizzati adeguatamente, impediscono la circolazione virale. Ricordo come, già a partire dalla prima ondata, all’interno delle Terapie intensive non si registrarono casi di positività tra gli operatori poiché lì i dispositivi venivano impiegati correttamente. Ricordo che il virus circola anche tra i vaccinati e quindi, soprattutto chi opera a stretto contatto coi pazienti, deve proteggere se stesso e chi ha intorno”. Essere vaccinati non è una garanzia di immunità, non scongiura la possibilità di infettarsi e di infettare. Non è questo il momento di abbassare la guardia. Ora mamma e piccola stanno meglio, l’auspicio è che l’incubo vissuto da questa famiglia resti un caso isolato e che tra le corsie dell’ospedale tutti indossino correttamente la mascherina.

Jessica Bianchi