“Il matrimonio forzato è considerato un crimine non solo in Italia ma anche in Pakistan e in quanto tale viene perseguito a livello governativo mentre a livello religioso non è ritenuto valido. Le unioni forzate rappresentano ormai delle eccezioni e resistono solo per motivi di interesse famigliare anche se questa non è certo una giustificazione, in considerazione della loro gravità. Cultura e religione comunque non c’entrano nulla”. A parlare è Hasnain Harif, pachistano arrivato nel nostro Paese nel 1999 a soli sei anni nonché componente della Consulta per l’Integrazione di Carpi.
Ma qual è il limite tra matrimoni combinati e forzati? Quando questo confine sottile viene superato, rischiando poi di sfociare in tragedia qualora la promessa sposa si opponga alle nozze?
“Quella dei matrimoni combinati – spiega Hasnain Harif – è una pratica rarissima in Italia poiché sempre più rifiutata dalle seconde generazioni e sta scomparendo anche in Pakistan. Nei casi in cui vengono celebrati c’è il consenso di entrambi gli sposi: i coniugi decidono cioè di avallare la scelta che i genitori hanno fatto per loro ma ormai, nella stragrande maggioranza dei casi, sono i giovani sposi a scegliersi in autonomia”.
Ma allora a cosa sono imputabili tragedie come quella del 2010 a Novi di Modena, quando la pachistana Nosheen Butt, venne picchiata a sangue dal fratello perché si era rifiutata di sposare l’uomo scelto per lei, mentre la madre Shahnaz Begum fu assassinata dal marito e dal figlio per averla difesa? Di quale cultura arcaica e patriarcale è figlio l’omicidio e l’occultamento del corpo della giovane Saman Abbas, a Novellara?
Per Hasnain Harif tali fatti di sangue non sono riconducibili a “una matrice culturale o religiosa. Non è un fatto di nazionalità. Sono crimini e basta. Come il femminicidio, lo stupro… Frutto di deformazioni mentali. In alcuni sopravvive un presunto concetto di onore secondo cui è necessario far vivere la propria figlia in un determinato contesto, una percezione distorta che può portare a scelte terribili e ad atti criminosi come nel caso di Nosheen e Saman”.
Come Consulta per l’integrazione, spiega Hasnain Harif, “dove è presente una grande rappresentanza di donne straniere di tutte le nazioni e confessioni religiose, stiamo facendo diversi sforzi per promuovere il ruolo attivo delle donne nella vita quotidiana e aiutare chi si trova in situazioni difficili”.
Un aiuto, quello offerto a Saman dalle istituzioni, evidentemente non del tutto adeguato: “credo – sottolinea Harif – che in casi delicati come questi occorra l’intervento di un mediatore culturale. Di qualcuno che conosca bene il contesto famigliare e nazionale, che sapendo quali sono le usanze del paese d’origine sia immediatamente in grado di intercettare segnali preoccupanti. Forse l’aiuto di un rappresentante pachistano avrebbe evitato la tragedia poiché consapevole di certe dinamiche, lo abbiamo fatto presente all’Amministrazione di Novellara”.
Il processo di integrazione è ancora in corso, “io mi sento 100 percento italiano e così i miei bambini. Le seconde generazioni stanno crescendo e raggiungendo la maturità, si sentono italiane ma fanno ancora i conti con le tradizioni e la cultura del paese d’origine dei propri genitori. Le cose cambiano, seppur lentamente, e in tanti altri paesi europei questi problemi sono stati superati da anni e non si registrano più casi di violenza in famiglia. E’ un processo di cambiamento che va assistito e aiutato e che necessita di tempo per completarsi del tutto”.
Chiara Tassi e Jessica Bianchi