Tiroide e pandemia da Covid è questo il tema della Settimana Mondiale della Tiroide (in programma fino al 30 maggio) e che torna dopo un anno di stop causato dall’irruzione nelle nostre vite dell’emergenza Covid-19.
“Come ogni anno – spiega il professor Giampaolo Papi, direttore dell’Endocrinologia dell’Ausl di Modena – l’Unità Operativa che dirigo aderisce alle iniziative della Settimana Mondiale della Tiroide, optando per una campagna di informazione esaustiva sui temi riguardanti l’impatto della pandemia sulla tiroide”.
Studi epidemiologici hanno dimostrato un aumento della prevalenza di ipertiroidismo (cioè un aumento dei livelli di ormoni tiroidei nel sangue) nei pazienti affetti da Covid-19 severa. In uno studio retrospettivo italiano, il 20% dei pazienti ospedalizzati per forme gravi di Covid-19 hanno presentato forme di ipertiroidismo causato da tiroiditi (e cioè di forme infiammatorie che colpiscono la tiroide) da distruzione follicolare, secondaria alla cosiddetta “tempesta citokinica”. Tale forma di tiroidite è stata anche definita “atipica”, in quanto – pur manifestandosi con le caratteristiche di laboratorio tipiche della tiroidite subacuta – non causa dolore al collo e si associa a linfopenia. In linea generale, si è osservato come il Sars-CoV-2 attacchi direttamente la tiroide, la cui funzione andrebbe pertanto controllata soprattutto nei pazienti con forme gravi di Covid-19.
“I soggetti affetti da ipertiroidismo o ipotiroidismo controllati dalla terapia non sono a maggior rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 e non hanno una prognosi peggiore di altri pazienti nel caso in cui dovessero ammalarsi” afferma la dottoressa Lucia Mingolla. “Il problema più serio che abbiamo avuto nel pieno della pandemia e che, in un certo senso e per una certa tipologia di pazienti abbiamo ancora oggi – osserva la dottoressa Monica Vecchi – è rappresentato dai pazienti con orbitopatia da malattia di Graves-Basedow candidati alla terapia corticosteroidea ad alte dosi. L’immunodepressione causata dal trattamento con cortisonici nel corso di una pandemia virale è sempre un rischio che bisogna bilanciare con i benefici previsti dal trattamento. Un ciclo completo di vaccinazione contro il Covid prima della somministrazione del cortisone riduce i rischi che venga contratta la forma sintomatica dell’infezione da Sars-CoV-2 e che l’efficacia della vaccinazione risulti inferiore a quella attesa”.
Malgrado l’emergenza causata dal Covid, il Servizio di Endocrinologia dell’Ausl di Modena è comunque riuscito a stare “vicino” ai propri pazienti ed è ulteriormente cresciuto. A partire dalla metà di marzo del 2020 infatti si è rimodulato per rispondere, da un lato, all’esigenza di aiutare i reparti internistici in difficoltà per il sensibile aumento dei ricoveri e, dall’altro, per garantire l’assistenza ai pazienti endocrinologici – per lo più affetti da malattie della tiroide – con situazioni urgenti.
“Su 100 richieste di visite che pervengono al nostro Servizio, ben 97 riguardano patologie della tiroide. Ci siamo dovuti riorganizzare in fretta e, mentre il nostro direttore dava man forte ai medici della Medicina Interna dell’Ospedale Ramazzini di Carpi, io e gli altri colleghi – afferma la dottoressa Iolanda Coletta – presidiavamo gli ambulatori nei punti nevralgici della provincia, di competenza dell’Unità Operativa”.
L’interruzione improvvisa delle visite programmate e differibili, le fa eco la dottoressa Maria Sole Gaglianò, “ha fatto soffrire noi e i nostri assistiti. La possibilità di telefonare direttamente ai pazienti ci ha però consentito di tranquillizzare quanti di loro erano legittimamente in ansia e di discernere i casi davvero urgenti da sottoporre subito a visita da quelli che si potevano procrastinare senza rischi”. Nel corso del primo lockdown, infatti, l’Unità operativa è stata tra le prime a iniziare il Teleconsulto, raggiungendo a distanza oltre mille pazienti, ed è stata tra le prime branche specialistiche a riaprire i propri ambulatori alla fine di aprile 2020.
Nonostante la sospensione delle attività ambulatoriali programmate, il Servizio ha fortemente aumentato le prestazioni nel periodo maggio 2020-aprile 2021: in dodici mesi l’Unità Operativa ha superato le 15mila prestazioni. “Grazie all’arrivo di un nuovo e validissimo specialista endocrinologo, il dottor Alessandro Guidi, e di una nuova infermiera specializzata in campo endocrinologico, Giulia Portente, negli ultimi mesi del 2020 e nei primi mesi del 2021 – sottolinea il professor Papi – abbiamo ampliato l’offerta di prestazioni in campo tiroidologico. In particolare, abbiamo aperto nuovi ambulatori presso la Casa della Salute di Castelfranco Emilia e presso il Distretto di Vignola, dove ora vengono eseguiti anche esami ecografici e agoaspirati della tiroide, oltre alle normali visite”.
A partire dal giugno dello scorso anno sono riprese anche le procedure di termoablazione dei noduli tiroidei.
“E’ stata un’emozione forte poter accedere nuovamente, con le necessarie norme di sicurezza, in sala operatoria. Anche i pazienti erano felici che il tempo dell’attesa fosse finalmente finito”, spiega l’infermiera Viviane Ardente. Da quando è stata donata la strumentazione da parte dell’Associazione Pazienti Tiroidei Onlus e grazie al contributo di alcuni privati, ovvero da settembre 2019 a oggi, all’Ospedale di Carpi sono state eseguite già 65 procedure di Termoablazione di noduli tiroidei benigni. “Il centro di Carpi è uno dei pochi in Italia a eseguire sia la Termoablazione Laser, sia quella con Radiofrequenza. Per questa procedura siamo diventati un punto di riferimento nazionale – aggiunge il professor Giampaolo Papi – anche per quanto riguarda la formazione degli specialisti che desiderano imparare a eseguirla”.