“Siamo sull’orlo del collasso”

A un anno di distanza dalla pubblicazione della sua prima lettera, Filippo Andreoli, titolare di un maglificio di Carpi, scrive nuovamente alla Redazione di Tempo. Le sue sono parole amare: “un anno fa eravamo ottimisti, ora siamo disillusi”. Una testimonianza, quella di questo imprenditore, simile a quella di tanti altri, strozzati dalla burocrazia, privi di aiuti e alle prese con ordini inevasi e difficoltà economiche.

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Spettabile Redazione, un anno è passato e nulla è cambiato. Ci ritroviamo nella stessa situazione in cui eravamo lo scorso anno. Ordini Primavera – Estate non evasi, ma le cui fatture relative alle lavorazioni stanno arrivando a scadenza, ordini Autunno – Inverno che non arrivano in quanto i negozi sono chiusi ed è impossibile avere appuntamenti, mentre gli aiuti governativi sono ben lungi dall’arrivare. La situazione è sull’orlo del collasso.

Mi correggo, ho detto che nulla è cambiato rispetto a un anno fa, ma mi sbagliavo.

Un anno fa avevamo qualche risparmio messo faticosamente da parte, mentre ora non solo lo abbiamo già speso tutto ma, addirittura, abbiamo dei debiti contratti per tentare di mandare avanti la nostra attività. Un anno fa eravamo ottimisti, ora siamo disillusi.

Sono quotidianamente in contatto con dettaglianti e grossisti, con filature, artigiani, stiratori, nelle più diverse forme societarie, dalle spa alle srl, dalla ditta individuale alla snc, e senza tema di smentita posso affermare che gli aiuti a fondo perduto arrivati lo scorso anno si aggirano tutti intorno ai 2/3.000 euro non di più, a fronte di cali di fatturato di centinaia di migliaia di euro.

Già mi sembra di sentirli i soliti leoni da tastiera che mi attaccheranno: “Ben ti sta, tu imprenditore che sfrutti gli operai e porti ingenti capitali in nero all’estero”. E, ancora, “Te lo meriti, visto che per anni hai delocalizzato la produzione in Cina per avere profitti ancora maggiori“, per non parlare di “Chissà quanto nero hai fatto in questi anni”…

Vorrei far presente a questi signori che la realtà è ben diversa rispetto a quanto credono.

E’ una realtà fatta di grossi sacrifici, di preoccupazioni continue, di orari di lavoro infiniti, di rischi enormi a fronte di piccoli guadagni.

Molto più comodo è starsene in cassa integrazione, seduti sul divano a guardare la TV mentre ogni mese arriva l’accredito dell’80% dello stipendio, senza sapere che spesso è l’imprenditore stesso ad anticiparlo per coprire i ritardi dell’INPS a cui spetterebbe erogarlo.

E tutto questo senza nemmeno dire un grazie all’imprenditore che dà fondo ai propri risparmi per colmare le lacune della pubblica amministrazione. Tutto questo come se fosse loro dovuto. La gratitudine non alberga qui.

Tutto questo senza che nessuno abbia il buon senso di dire che la cassa integrazione non deve erogare l’80% dello stipendio all’operaio per farlo rimanere a casa. Deve erogargli l’80% ma obbligandolo a restare a lavorare. Come possiamo pensare che un’azienda si possa risollevare da un periodo di crisi se tutti i suoi operai sono a casa? Al contrario dovrebbe pensare a idee alternative, prodotti innovativi, dovrebbe cercare nuovi sbocchi e nuovi mercati, ma come può fare tutto questo quando i suoi dipendenti sono a casa?

Dovremmo avere l’intelligenza di capire che da una crisi se ne può uscire dando soldi e finanziamenti alle imprese, e non certo agli operai per starsene a casa.

Sono un grande appassionato di musica, in particolare il mio artista preferito è sempre stato John Lennon il quale, nel suo primo disco solista post-Beatles, incise una canzone intitolata God in cui elencava tutte le cose in cui non credeva più terminata la disillusione degli Anni ’60, dei figli dei fiori, dell’amore universale. Ricalco le sue parole per fare il mio personalissimo elenco.

Non credo più in chi decide che un tabaccaio è “essenziale” e un negozio di abbigliamento no (forse perché quest’ultimo non è un Monopolio di Stato?).

Non credo più in chi ha l’ipocrisia di chiudere ristoranti e bar, i quali applicano correttamente l’igienizzazione e il distanziamento, e invece non multa le persone che vi stazionano davanti e che sono il vero veicolo dei contagi.

Non credo più in chi decreta che in un luogo pubblico non mi posso abbassare la mascherina per bere una coca-cola, ma posso farlo per fumare.

Non credo più in chi consente la pratica dello sport agonistico, anche quello di contatto, senza rendersi conto che all’improvviso in Italia sono diventati tutti atleti agonisti di “interesse nazionale”.

Non credo più in chi sa perfettamente che i mezzi pubblici sono uno dei veicoli principali del contagio e, anziché potenziarne la portata e regolamentarne la capienza, semplicemente chiude le destinazioni a cui erano diretti.

Non credo più in chi dall’alto del suo stipendio quasi milionario, sempre e comunque garantito, delibera e pontifica su chi invece fatica ad arrivare a fine mese.

Non credo più in chi continua a proclamare che arriveranno aiuti di stato, che ci sarà una “potenza di fuoco” mai vista prima, mentre invece sa perfettamente che sono soltanto dei proclami elettorali.

Non credo più in chi, in mezzo a questa crisi di enorme portata, si preoccupa di porre l’accento sullo “Ius soli”. Non credo più in chi, appena insediato, anziché tranquillizzarci garantendo tutto il suo impegno per accelerare le vaccinazioni, parla di lotta alla corruzione e all’evasione come i peggiori democristiani degli Anni ’80 e ’90.

Non credo più in chi permette che arrivino in Italia centinaia di persone, senza premurarsi di controllarne la negatività al Covid19, mentre noi italiani viviamo in prigione.  Non credo più in questa Europa che è priva di un protocollo comune per fronteggiare emergenze di questo tipo, è priva di una gestione comune e condivisa delle frontiere, e ci presta i soldi che noi stessi le abbiamo dato per tanti anni. Tanto valeva tenerceli direttamente. 

Credo soltanto in me stesso, nelle mie forze e nella mia caparbietà, fiducioso che in qualche modo ne uscirò.

Filippo Andreoli

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