Ogni pezzo di stoffa ha un valore che può e deve essere recuperato. E’ questa la filosofia di moda e di vita con cui la carpigiana Francesca Menotti, designer e creativa, ha dato vita nel 2018 a Emma Pucci: il marchio d’abbigliamento femminile realizzato a partire da scarti e rimanenze di produzione.
Scampoli di tessuto fabbricati in zona, magari fine serie di grandi lavorazioni industriali e, perchè no, anche con qualche piccolo particolare che viene considerato un “difetto”. Francesca Menotti cerca, recupera e reinventa ciò che era stato buttato all’insegna di una moda attenta e sostenibile.
Francesca, quando e come è nata la sua passione per la moda e in particolare per la moda eco-sostenibile?
“Ho iniziato a disegnare vestiti alle scuole medie, poi sono passata a disegnare gioielli e a dirigere un gruppo vocale, finché si sono chiuse diverse porte mentre la passione per la moda è tornata a bussare. A quel punto ho deciso di aprirle. Emma Pucci è nata nel 2018, inizialmente come gioco, poi concretizzandosi sempre di più. La scelta stilistica da intraprendere era chiara: le donne hanno bisogno di abiti comodi che le rappresentino e che le rendano ancora più uniche di quello che già sono. La scelta etica lo era ancora di più: ci sono troppi sprechi nel settore della moda, è ora di ridare valore alle materie prime e di rispettare l’ambiente”.
Qual è stato il primo capo d’abbigliamento Emma Pucci che ha realizzato e con quale materiale?
“Il primo capo Emma Pucci è stata una blusa nata da un pezzo di stoffa stampato con una Regina di Cuori, proprio quella delle carte. Non si poteva buttare, non se lo meritava. Chissà chi l’aveva pensata, disegnata, tagliata, stampata. Mi sembrava doveroso provare a darle di nuovo vita. Così l’ho cucita insieme ad altri tessuti di varie fantasie. Ho pubblicato la foto su Instagram e ho iniziato a riscuotere i primi consensi. Da lì ho capito che quello che facevo aveva un senso ed era condiviso”.
Come definirebbe lo stile di Emma Pucci?
“Versatile, fantasioso e unico: una blusa che può diventare miniabito, uno smanicato che può diventare un vestito con una cintura. Ampiezza e comodità sono i valori chiave, insieme a semplicità per design ma unicità per texture, accostamenti e linee”.
Mediamente, data la particolarità dei capi, quanto tempo impiega per realizzarne uno?
“Non esiste una regola: in un pomeriggio posso fare due bluse, oppure impiegare alcuni giorni per un capospalla patchwork dove metto insieme tutti i piccoli pezzi avanzati dalle mie precedenti creazioni. Paradossalmente i patchwork sono i miei pezzi più venduti, pur essendo i più casuali nella costruzione”.
Quale messaggio vuole trasmettere con le sue creazioni e qual è il pubblico a cui si rivolge?
“Poche persone sanno quanto scarto ci sia dietro la grande produzione. L’idea che tutta questa stoffa vada buttata via ci deve far rabbrividire. In fondo, quello che manca a uno scarto è solo il nostro sforzo e la nostra creatività per reinventarlo. Il mio pubblico sono donne che lavorano, stanno con i loro bambini, vanno al parco, in ufficio, al supermercato. Donne che hanno voglia di scherzare e si accettano così come sono. I vestiti sono solo il complemento della personalità”.
Dove si possono vedere e acquistare i suoi capi?
“Su emmapucci.com è possibile vedere il catalogo delle mie creazioni. Su Instagram (pucciemma) pubblico regolarmente foto e outfit completi dei miei capi. Per informazioni e richieste è possibile contattarmi lì o sul sito”.
Un sogno da realizzare?
“Vorrei creare uno spazio fisico e/o virtuale dove le donne over 50 (vedete voi se di taglia o di età) possano incontrarsi e confrontarsi sulla femminilità che si evolve con l’età. Uno spazio dove chiacchierare, prendere un caffè e infine, perchè no, trovare abiti unici, eco-sostenibili, un po’ pazzi ma alla portata della vita di tutti i giorni. È possibile conciliare tutto questo? Per me sì”.
Chiara Sorrentino