“I ragazzi, nelle camerette a fare lezione a distanza, si stanno perdendo la socializzazione, le liti, gli amori, l’abitudine a stare insieme, l’allenamento a sopportarsi, i coppini di quello seduto dietro e gli scleri di quella dell’ultima ora quando c’è troppo casino. Ma si stanno perdendo anche quelle occasioni, che per alcuni erano le uniche, di sbattere il naso contro un’opera d’arte, che sia un quadro, un balletto, un’opera, un concerto, un palazzo, una statua, un monologo.
Recuperiamo pure quello che pare sia stato “tempo perso”, facciamo lezione verso l’infinito e oltre. Ma vi prego non da soli in un’aula”.
C’è fiducia, simpatia e una partecipazione vera e sentita nelle parole di Valentina Petri. Come nel suo Portami il diario e nella pagina facebook che porta il titolo del libro. Docente di italiano in un istituto professionale di Vercelli, Valentina Petri è stata la protagonista del secondo appuntamento di Dialoghi Digitali Carpi la rassegna di incontri liberi e gratuiti per tutti, validi come formazione per i docenti, organizzati online da Venite alla festa, Centro Francesco Luigi Ferrari, Associazione La Festa, Porta Aperta, Anspi e finanziati dall’Unione Terre d’Argine.
“I miei ragazzi non sono esattamente quelli che durante il lockdown hanno acceso il computer ogni mattina per collegarsi in Dad. Sono trascorsi i mesi e non siamo più in trincea ma tra piattaforme, problemi di connessione, password e credenziali, perdiamo alunni per strada. Non deve succedere ma la Dad logora anche chi non ha mai saltato una lezione e diventa per tutti più faticoso. Arranco ma non mollo” racconta Petri.
Il fatto è che i ragazzi hanno bisogno di relazioni vere, dove ci si tocca e i computer non sono strumenti che favoriscono la relazione. “Alcuni ragazzi hanno mollato nell’indifferenza dei compagni perché non sono un gruppo classe se ognuno resta a casa sua. Noi siamo in presenza a settimane alterne, una sì l’altra ad ascoltarmi sotto il piumone, a microfono e telecamera spenti. Propongo video, link, testi multimediali, non perdiamo tempo ma è diverso: è una scuola che non insegna le cose che la scuola insegna”.
Ogni ragazzo la vive a suo modo: chi affronta lunghi viaggi da casa a scuola preferisce naturalmente evitare di perdere tempo ma per altri, i più fragili, la scuola è il luogo in cui perseguire l’obiettivo di socializzare grazie all’inserimento in un gruppo di pari. Oggi, gli alunni con difficoltà, ai quali la scuola in presenza viene garantita, si sentono discriminati al contrario perché i loro compagni di classe sono a casa. Qualcuno senza la propria classe sta meglio, per altri è una prigione la propria casa.
“E’ un esercizio di retorica chiedere ai ragazzi come stanno perché sebbene più forti di quanto noi possiamo pensare sono adolescenti o poco più in un momento delicatissimo da gestire. Scrivono whatsapp infiniti come fiumi in piena quando condividono con me le loro considerazioni personali ma bisogna farli esprimere! La Dad ci ha tolto la chiacchierata durante l’intervallo o nel tragitto per accompagnarli da qualche parte quando saltava su qualcuno: scusa maestra posso dirti una cosa? Adesso i compagni sono sempre in ascolto e non ci sono momenti per le confidenze”.
Per la Petri, reinventarsi con lo smartworking per l’insegnante è più complicato: c’è l’imbarazzo di dover andare in video sapendo che i ragazzi registrano un lapsus, fanno lo screenshot di una smorfia, fanno meme con la faccia dei prof. “Noi ci siamo dovuti improvvisare come se fossimo Alberto Angela” sorride la prof. Petri. “Non basta proporre ai ragazzi un collage di contenuti multimediali già esistenti: non sempre esistono ed è difficile trovare il materiale giusto per quella classe. Insomma, non basta mettere due parole su youtube così come non si può fare lezione frontale allo schermo. Si tratta di cercare la giusta alchimia classe per classe”.
La peste del Trecento aprì la strada al Rinascimento, quella del Seicento diede impulso all’Illuminismo e “sono convinta – conclude Valentina Petri – che questa generazione ci tirerà fuori e salverà il pianeta inventando qualcosa che mangia la plastica”.