La lezione impartita è stata durissima ma, pur nella drammaticità di questo momento, la pandemia ci ha insegnato molto, facendo emergere annose lacune del sistema ospedaliero e socio assistenziale del nostro territorio. Falle che, oggi, un anno dopo l’arrivo di quello tsunami chiamato Covid 19, esigono di essere sanate o, perlomeno, arginate.
Un esempio? Le condizioni di sicurezza delle strutture sanitarie, dagli ospedali alle case di residenza per anziani. “Negli anni passati si è cercato, soprattutto in Emilia Romagna, di dare consigli circa i comportamenti da tenere per tentare di ridurre le possibili infezioni in ambito ospedaliero e non solo. Nel mondo occidentale, e in particolare in Italia, – spiega il direttore generale dell’Ausl di Modena, Antonio Brambilla – si è creata una importante resistenza agli antibiotici. Un insegnamento della pandemia è proprio questo: occorre lavorare negli ospedali e nelle Cra per migliorare i sistemi di sicurezza per quanto riguarda la trasmissione degli agenti patogeni, ovvero batteri e virus. Quest’anno, nei reparti più a rischio come le terapie intensive, dove il personale era a contatto solo con pazienti Covid positivi e dai quadri clinici molto le gravi, il rispetto delle condizioni di sicurezza ha fatto sì che si registrasse il minor numero di infezioni tra gli operatori. Protocolli chiari, il lavaggio delle mani, l’uso della mascherina e dei presidi di protezione personali consentono di arginare la diffusione dei patogeni e di non ricorrere in modo massiccio agli antibiotici, il cui abuso ha determinato l’insorgenza di patogeni multi resistenti. Regole che abbiamo imparato a usare e che non possiamo certo pensare di smettere quando la pandemia sarà finita”.
Un altro fronte su cui occorre impegnarsi è quello della medicina territoriale, chiave di volta nella gestione dell’emergenza: da quando infatti i positivi sono stati presi in carico dalle Usca presso i propri domicili e curati tempestivamente sin dall’insorgenza dei primi sintomi, sono diminuiti i pazienti ricoverati in condizioni ormai disperate.
La medicina territoriale è fondamentale nella gestione delle politiche di sanità pubblica e non solo rispetto alla pandemia. E’ infatti il territorio che deve farsi carico delle patologie croniche in continua crescita in quanto legate al progressivo invecchiamento della popolazione mentre agli ospedali spetta il compito di trattare soltanto le acuzie.
“Il potenziamento della medicina territoriale, anche mediante l’impiego laddove sia possibile della telemedicina, è uno dei nostri scopi. Vi abbiamo investito e continueremo a farlo. Questo – conclude Antonio Brambilla – è un tema costantemente all’ordine del giorno perché l’obiettivo a cui tendere sempre più è proprio quello di strutturare una rete territoriale, dai medici di famiglia agli infermieri specializzati, in grado di gestire i pazienti fragili e quelli cronici direttamente presso le loro case. La vita si è allungata, gli anziani soli aumentano, questa è una strada segnata”. Insomma, come ripetiamo da anni e ben prima che il Covid 19 venisse a bussare anche nelle nostre case, meno muri e più territorio, in caso contrario, la sfida demografica e sanitaria che ci aspetta sarà persa in partenza!
Jessica Bianchi