Potenzialmente più virulenta, verosimilmente più contagiosa. Da quando la variante inglese del Covid-19 ha cominciato a circolare nel nostro Paese, non si parla d’altro e il panico dilaga. Ma è davvero più pericolosa? I vaccini attualmente a disposizione sono efficaci anche per le nuove mutazioni che avanzano?
A rispondere alle domande di Marco Francia è il professor Vittorio Sambri, direttore dell’Unità Operativa Microbiologia del Laboratorio Unico di Pievesestina dell’Ausl Romagna, dove è stato identificato anche un caso della cosiddetta variante nigeriana a Modena.
Professor Sambri, cos’è una variante?
“Una variante è un virus che nel corso della sua normale attività replicativa negli esseri umani compie degli errori nel replicare il proprio genoma, un fenomeno che accade di frequente nei virus a RNA. Tali errori, compatibili con la sopravvivenza stessa del virus, ne producono uno diverso rispetto al prototipo originale”.
Avete identificato un caso della cosiddetta variante nigeriana a Modena, come si differenzia rispetto al virus originale?
“Questa variante è stata vista in pochissimi casi e ha delle caratteristiche che sono la somma dal punto di vista genetico delle tre varianti più note, ovvero l’inglese, la sudafricana e la brasiliana. Le modifiche del genoma del virus non sempre producono una differenza nelle caratteristiche comportamentali, nella fisiologia e nella biologia del virus, a volte sono solo variazioni di tipo genetico. In questo caso invece le variazioni genetiche hanno prodotto modificazioni strutturali che rendono il virus ragionevolmente differente rispetto al prototipo isolato a Wuhan 15 mesi fa o a quello che circolava in Europa fino alla comparsa della variante inglese”.
L’emersione della variante inglese nel nostro Paese ha sollevato numerosi dubbi: è davvero più contagiosa e letale?
“Solo più contagiosa. Sette giorni fa avevamo un 41% di prevalenza in Emilia Romagna di variante inglese nei pazienti, se fosse più letale registreremmo un aumento di ricoveri in terapia intensiva e di morti. Secondo me parlare di maggiore trasmissibilità e letalità a partire da un dato genomico è assolutamente impossibile: l’aumento di letalità dipende dalla fitness virale per determinate cellule, mentre quello di trasmissibilità è legato all’80% dal comportamento umano e al 20% dal virus”.
La variante inglese è tra noi da quanto tempo?
“Di certo non è arrivata né ieri, né ieri l’altro. Il primo annuncio di un ceppo diverso inglese è stato dato nel settembre dello scorso anno, il governo ha dato l’allarme istituendo un lockdown a dicembre. In Italia il primo studio nazionale per capire se e quanto la variante inglese ci girasse in casa è stato fatto a febbraio: siamo arrivati a dir poco lunghissimi. Il 4, 5 febbraio la percentuale di prevalenza di variante inglese in Emilia Romagna era il 28%, una settimana aveva raggiunto quota 41%. Dieci punti percentuali in una sola settimana: è logico aspettarsi che tra un mese saremo all’80%”.
La situazione in Israele è rassicurante…
“Il dato di Israele è molto tranquillizzante. Gli studi pubblicati mostrano come il Paese abbia registrato una forte riduzione della circolazione virale (dove l’incidenza di variante inglese è dell’80-85%) grazie alla vaccinazione che ha coinvolto la maggior parte della popolazione. Un dato consolante che ci dice che il vaccino è efficace anche per questa variante”.
Se il sequenziamento fosse iniziato prima quante varianti avreste identificato?
“Quante non glielo so dire, tante di sicuro. Lo studio delle varianti è importante per comprendere come cambia il virus e sapere quindi con chi abbiamo a che fare. Le varianti infatti, come ha fatto quella inglese, possono sfuggire ad alcun test diagnostici: il gene modificato non viene identificato e i test risultano negativi. Se ho una variante che sfugge al test, non mi accorgo di avere il virus in casa. Oggi stiamo spingendo fortemente sulla campagna vaccinale, se le varianti possono dare situazioni di potenziale e parziale capacità di eludere la risposta indotta dal vaccino è meglio saperlo prima: in caso vi fosse una perdita di efficacia occorre correre ai ripari, in primis modificando i vaccini. Se ci si rende conto poi che patologia che noi conosciamo come Covid 19 cambia in termini di espressione o severità clinica è necessario capire il perché: se conosciamo bene il virus sappiamo con chi abbiamo a che fare e dunque abbiamo maggiori probabilità di controllarlo e adottare soluzioni efficaci”.
Dunque è importante seguire l’evoluzione del virus ma questo non significa spaventarsi ogniqualvolta sentiamo parlare dell’emersione di una nuova variante…
“Non c’è nessun motivo di spaventarsi nella maniera più assoluta: questa storia delle varianti deve coinvolgere soprattutto i virologi, quelli veri, chi si occupa di politiche di gestione dell’epidemia e i decisori politici perché qualora si dovesse eventualmente spargere una variante più trasmissibile, più letale o capace di escludere il vaccino, allora delle misure di contenimento della variante possono includere anche una chiusura globale di una determinata area geografica”.
Quindi il fatto che si vadano a cercare nuove varianti dovrebbe costituire un motivo di tranquillità…
“Certo che sì. In tempi non sospetti dissi più volte che in Italia non si stava cercando di capire cosa stesse succedendo al virus. Noi abbiamo iniziato in modo embrionale a fare le prime sequenze a maggio – giugno perché volevamo capire se il virus fosse cambiato. Ora questa azione è fondamentale perché stiamo spingendo forte e in tempi stretti sulla campagna vaccinale: in questi casi, i germi che sono oggetto della risposta immunitaria indotta dal vaccino tendono a modificarsi, lo abbiamo già visto, e dunque è logico aspettarsi che i virus meno sensibili al vaccino diventino più circolanti e pertanto dobbiamo cercarli. Oggi dobbiamo cercare varianti nuove, quelle che potrebbero riservarci delle sorprese. L’attività di sequenziamento deve continuare”.
Quale dev’essere il nostro approccio al contrasto al virus?
“Noi dobbiamo stare attenti al virus in quanto tale, a prescindere dalle sue varianti. Ciò che deve cambiare è l’atteggiamento di coloro che credono che le precauzioni non servano a nulla… Usiamo la mascherina, restiamo distanziati, non assembriamoci e laviamoci le mani, una delle azioni, quest’ultima, tra le più efficaci per controllare un’epidemia. Mollare su tali regole è il vero rischio e il virus ci fregherebbe. Per quanto tempo dovremo adottare tali comportamenti? Difficile fare previsioni ma non abbiamo alternative.
Ricordiamoci che cento anni fa, nonostante il genere umano uscisse da una delle guerre più devastanti, con un livello di povertà pazzesco e senza vaccino, la Spagnola smise di provocare una pandemia. Può sembrare una lettura semplicistica ma se teniamo botta con le precauzioni che abbiamo imparato ad adottare, il virus tenderà sempre più ad adattarsi alla circolazione interumana e diventerà un nostro compagno di viaggio come tanti altri prima di lui”.