Il calo dei contagi c’è ma è lento e lo è ancor di più quello dei ricoveri in ospedale. Insomma, se vogliamo restare in zona gialla, – in data 2 febbraio, l’indice di trasmissibilità Rt nel modenese, riferito alla settimana precedente, era pari a 1 – occorre non abbassare la guardia e rispettare in modo pedissequo tutte le regole.
Le oscillazioni giornaliere a cui assistiamo in provincia di Modena sono da leggere in modo prudente poiché, spiega Davide Ferrari, direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Azienda Usl di Modena, “i numeri assoluti quotidiani dei nuovi positivi potrebbero trarre in inganno. Per avere una visione più aderente a realtà e comprendere il trend sarebbe meglio osservare il dato settimanalmente senza dimenticare l’incidenza. Nella nostra regione, Bologna e Modena, ovvero le due province più popolose, registrano i numeri più alti in termini assoluti ma, se consideriamo l’incidenza della malattia ogni mille abitanti le cose cambiano. Per fare un esempio: dal 19 dicembre al 17 gennaio, l’incidenza regionale era di 10,1 casi ogni mille abitanti, quella di Modena si attestava sul 9,9 mentre in Romagna le cose andavano peggio con punte di 14,7 casi ogni mille abitanti a Rimini. I dati peggiori li abbiamo registrati a novembre ma ora le cose vanno meglio, nonostante alcune oscillazioni giornaliere”.
La circolazione virale, prosegue Ferrari, è un fenomeno che “non comprendiamo ancora appieno. Mentre nella prima ondata era evidente come il gradiente di incidenza si muovesse da Ovest verso Est, da Piacenza a Parma, a scendere… in questa seconda ondata epidemica diverse aree e province hanno registrato picchi in tempi diversi senza una precisa direttrice geografica”.
Gli elevati numeri di contagi nel modenese non sono quindi imputabili a criticità nel tracciamento?
“Abbiamo avuto delle difficoltà nel tracciamento soprattutto durante i picchi di novembre ma ora abbiamo pienamente recuperato”.
Crede che la scelta di non effettuare più il doppio tampone a 24 ore di distanza per “liberare” i pazienti sia riconducibile alla difficoltà di far fronte a un elevato numero di tamponi? Cos’è cambiato rispetto alla prima ondata tanto da indurre tale cambiamento?
“Il cambiamento non è legato alla capacità di fare tamponi bensì alle evidenze scientifiche. Vari studi hanno dimostrato come la durata più lunga osservata finora di contagiosità, documentata dalla coltura virale, è di 20 giorni dopo l’inizio dei sintomi. Oltre tale lasso di tempo le analisi non hanno evidenziato alcuna contagiosità e, pertanto il Ministero della Salute ha previsto l’adozione di un meccanismo differente. Vi sono persone che dopo 21 giorni risultano ancora positive al tampone molecolare poiché il test rileva frammenti di Rna ma non sono presenti particelle virali attive e dunque non si è più contagiosi. Ecco perché seppur positivi a lungo termine, ovvero dopo 21 giorni dalla comparsa della malattia, se si è senza sintomi da una settimana, si può uscire dall’isolamento”.
Avete notato un periodo più lungo rispetto alla prima ondata per la negativizzazione delle persone?
Non abbiamo elementi per affermare che si sia allungato il periodo per la negativizzazione rispetto alla prima ondata, anche perché sono cambiate le disposizioni per certificare la guarigione.
La ripresa dell’attività scolastica in presenza nelle scuole superiori sta creando problemi? Vi sono focolai che preoccupano?
“Sono certamente aumentati i casi e abbiamo qualche focolaio sparso ma l’impressione è che il rischio di contagio sia legato a quanto accade prima e dopo le lezioni, dal momento che dentro alla scuola i protocolli vengono rispettati”.
Le varianti del virus, a partire da quella inglese, sono già state individuate anche nel modenese?
“Abbiamo registrato un caso accertato di variante inglese in uno straniero rientrato dall’Inghilterra ma al momento in Regione è in corso uno studio per capire quanto gira la variante inglese e per rintracciare l’eventuale presenza di altre varianti”.
A condurlo, su mandato dell’Istituto Superiore di Sanità che ha avviato l’indagine a livello nazionale, sono i laboratori di Pievesestina (Fc), Parma, Bologna (Policlinico S.Orsola) e Modena, in collaborazione con la Regione – Servizio Prevenzione collettiva e sanità pubblica – e i Dipartimenti di Sanità pubblica delle Aziende sanitarie territoriali.
Sono 213 i tamponi positivi selezionati in Emilia Romagna su cui è in corso l’analisi: appartengono ad altrettanti cittadini scelti a campione ma in modo proporzionale rispetto al numero di abitanti delle singole province, fra i positivi individuati nei giorni 4 e 5 febbraio (32 a Modena).
I risultati finali della ricerca, che richiede operazioni di estrema accuratezza e complessità e quindi ha tempi di esecuzione non immediati, sono attesi per l’inizio della prossima settimana.
Siete preoccupati da tali mutazioni?
“La variante inglese è più contagiosa ma non causa un quadro clinico più grave della malattia e, inoltre, pare non inficiare gli effetti protettivi del vaccino. Sulle altre mutazioni, compresa quella sudafricana invece, abbiamo meno certezze circa l’efficacia della campagna vaccinale”.
Jessica Bianchi